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South Working – Quando la scrivania si trasferisce al Sud

“Digital Transformation”, Smart working”, “Smart Living”, è un pò di tempo che questo esercito di espressioni business, minaccia di travolgerci dall’alto del suo “splendore” da vocabolario 4.0. 

Una nuova in particolare sembra farsi spazio fra i titoli dei giornali web e nelle notizie da prima pagina, si chiama South Working, e riguarda la possibilità di lavorare a Milano comodamente connessi da una qualsiasi scrivania del Sud Italia o altrove. 

Avete capito bene, niente più schiscetta da microonde, nè pausa caffè davanti le macchinette, il pranzo di lavoro diventa quello della cucina di casa e il caffè si gusta dalla moka, magari vista mare..

Al di là dei gustosi stereotipi, in questi tempi di pandemia e lavoro da remoto, il rientro in “patria ” dei lavoratori e degli studenti del Sud Italia, è il nuovo scenario a cui ci prepariamo ad assistere. 

Se il 31 agosto, è da sempre tempo di saluti e bagagli, per molti quest’anno il meccanismo sembra rallentare e non voler rispettare affatto i piani. 

E’ un mese sospeso questo nuovo settembre, che immobilizza e svuota i centri metropolitani del Nord Italia, e il capoluogo Meneghino in particolar modo. 

E così, anzichè procedere alla rincorsa al bilocale che non ci si può permettere, studenti o giovani lavoratori, quest’anno, decidono di “aspettare”, rimandare trasferimenti o rientri a tempi e sogni più certi.

Si torna o si rimane al Sud italia, il più delle volte, dove il costo della vita è notoriamente inferiore, e la qualità della vita, qualche volta, migliore. A distanza di quasi sei mesi dall’inizio del lavoro da remoto, infatti molti continueranno a lavorare o studiare da casa propria, quella al Sud.

Ma quali sono le conseguenze di questa nuova Italia al contrario? Sarà provvisorio? sarà l’inizio di grandi tensioni? 

E’ Il Sole 24 Ore a dichiarare che Milano negli ultimi venti anni ha guadagnato circa 100,000 residenti provenienti solo dal Sud, intuite ora di che dimensioni si tratta e del potenziale danno economico a cui potrebbero andare incontro i centri metropolitani industrializzati.

E la domanda sorge spontanea,quali saranno le conseguenze sul mercato immobiliare? e la mobilità pubblica?

Io non lo so e, non vorrei avanzare risposte improvvisate a queste domande da notiziario.

Vivo a Milano da quasi 9 anni, e ammetto che il fenomeno delle “scrivanie in fuga” ha ammaliato e al contempo terrorizzato anche me. 

E’ strano aggirarsi nello storico quartiere di Città Studi, al rientro dalle vacanze estive, e non imbattersi in branchi di studenti universitari e liceali, e ancor più strano scovare un parcheggio proprio sotto casa senza dover replicare giro dell’isolato. E sebbene la prima sensazione, egoistica, sia proprio di tregua dalla Milano affannata e ingarbugliata, in un secondo momento, tutto questo impaurisce.

Basta mettere bene a fuoco e intravedere il bar universitario al di là della strada, quasi far fatica a riempire i pochi tavolini rimasti e gli annunci di affitto che avanzano impazienti sulle bacheche online e sui portoni delle case intorno..

Milano deve ripensarsi, è sempre stata attrezzata a farlo, non sbaglierà, lasciatemi credere così. 

E intanto no, non starò qui a parlare del recupero dei borghi e della rinascita del caro vecchio Sud italia.

Non è tramite lo “Smart Worki” cit. , secondo il mio sincero (e poco utile) parere, che contribuiremo allo sviluppo del nostro Sud, o attribuendo nomi attraenti al fenomeno dello svuotamento delle capitali.

Non bastano storielle consolatorie, non bastano flotte di fuorisede in rimpatriata, perchè è un fenomeno a mio avviso temporaneo, che servirà semplicemente a svuotare i bar Meneghini, i carissimi bilocali e riempire le tasche di illusioni di noi, gente del Sud.

Cosa serve? servirebbe forse, fabbricarle queste promesse, servirebbe rendere un contesto attrattivo la nostra terra, non solo per i singoli,  tifoserie da spiagge e del buon cibo, ma per lo stabilimento inclusivo di vere e proprie comunità internazionali di lavoratori.

Impreziosire il Sud Italia di infrastrutture valide e realtà imprenditoriali competitive al pari del Nord Italia non è per nulla immediato, le esigenze sono tante, troppe, ma ormai è chiaro, non si può tornare indietro. 

Il Sud deve cogliere questa nuova opportunità e fare rete a tutti i costi. 

Solo a quel punto, potremo parlare di South Working o magari, lavoru allu sudde, senza bisogno di montargli sù, un titolo accattivante da dare in pasto ai giornali.

Sembra una rivoluzione e invece no, immagino sia solo un momento storico che porta con sè, accellerazioni di tendenze che erano in atto ormai da troppo tempo.

Non credo alla fuga delle scrivanie, ma allo stabilimento dei cervelli, siamo fuggiti per mancanza di opportunità, ritorneremo solo se ci sentiremo parte di un nuovo prestigioso e coraggiosissimo Sud. 

Simona Papaluca
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Un metro e settanta (quasi) di idee cambiabili e intercambiabili, economista per caso e fotografa per forza maggiore. A volte legge libri che recensisce male.