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Shark Tank: quanto sono realistici gli Squali televisivi?

Premettendo che la mia familiarità con il mondo dei Venture Capitalist e degli Angel Investor si limita allo studio teorico che ne ho fatto in università, guardando il programma Shark Tank Italia, non ho potuto fare a meno di richiamare alla mente qualche lezione e fare un paragone con quello che avevo imparato.

Di VC e BA (venture capitalist e business angels) non ne sentiamo molto parlare perché in Italia di attori di questo tipo ce ne sono pochi. Sono però fondamentali per la crescita di un sistema economico, perché insieme ad amici e familiari finanziano gli imprenditori nella fase di start-up, quando le banche non possono ancora concedere del credito. L’unica cosa che gli imprenditori possono portare a supporto della propria richiesta di investimento è la loro persona, il loro team e la loro idea.

VC vs BA

I Business Angel di solito investono in un’azienda nei primissimi istanti della fase di start-up e oltre al denaro offrono anche le proprie competenze; aiutano l’imprenditore con il lancio del prodotto, gli offrono accesso al proprio network. Solitamente investono in business vicini all’area in cui hanno esperienza.
I Venture Capitalist, invece, arrivano in un secondo momento, quando il prodotto è stato già commercializzato e l’azienda è già avviata; il loro investimento serve per espandere il business. Adottano un’ottica di portafoglio e ritorno sull’investimento e l’ammontare investito è molto più alto di quello che investe un Business Angel in una singola impresa. I VC poi sono delle vere e proprie società costituite, mentre i Business Angel sono individui, esperti di settore o imprenditori che mirano anche a dare un ritorno all’intera società.

GLI SQUALI

Nel caso di Shark Tank Italia  gli squali agiscono da veri e propri BA (ndr. nonostante Gianluca Dettori, uno degli “squali”, sia il fondatore di Dpixel, nota impresa di IT che mira anche a trovare e finanziare giovani e brillanti innovatori italiani).
Le idee presentate nel programma – eccetto alcune che vengono sicuramente inserite per motivi televisivi, come Catsuitehome e MelaDay – generalmente riguardano applicazioni di nuove tecnologie, o tecnologie che vengono utilizzate in nuovi contesti, Web e Social Network, ma non mancano i settori più tradizionali, come il design e il food & beverages.

Ogni imprenditore che si presenta agli Shark ha a disposizione circa dieci minuti per spiegare la propria idea, dopodiché, dovrà rispondere alle domande degli investitori.
In realtà, in un contesto non televisivo, la presentazione durerebbe molto meno, infatti, non per niente si parla di elevator pitch”, proprio perché dovrebbe durare quanto un viaggio in ascensore. Nei pochi minuti a disposizione l’imprenditore deve essere in grado di spiegare qual è il suo prodotto, come si differenzia dai competitor, che mercato di sbocco ha, chi è il team e poi numeri, numeri e ancora numeri.

Nel programma è completamente tagliata la parte dei numeri, ma sicuramente la due diligence verrà fatta in un altro momento. Possiamo però vedere che gli Shark si concentrano su una cosa fondamentale in questo tipo di investimento: le persone. Il team e l’imprenditore sono l’elemento più importante senza cui ci sarebbe solo l’idea: sono le persone che trasformano l’idea in realtà. Quindi è importante che sin da subito ci sia sintonia e si instauri un rapporto di fiducia reciproca tra team, imprenditore e investitore.

Le domande degli shark successive al pitch variano poi a seconda del prodotto.
Molto importante è conoscere la strategia futura della start-up, l’esistenza di brevetti attuali o la possibilità di crearne, le differenze del prodotto rispetto a quelli dei competitor e l’effettiva presenza di un mercato (anche se, di solito, l’esistenza di un mercato in questa fase dovrebbe essere già stata testata).
Un’altra cosa che ricercano gli investitori è la creazione di sinergie con i propri business attuali -nella prima puntata infatti Mariarita Costanza si scontra con Gianluca Dettori per l’investimento in un sensore di parcheggio. Questo perché un angel investor non investe solo il suo denaro ma offre anche le proprie competenze professionali.

Un’altro aspetto del programma molto vicino alla realtà è la presenza concreta dei prodotti, che gli shark toccano con mano e assaggio. Questo mostra pienamente che chi investe in una start-up ha sempre bisogno di vedere un MVP, minimum viable product, un prototipo di quello che sarà poi il prodotto finale.

Alla fine però la cosa principale per un investitore è che ci sia un ritorno considerevole dal proprio investimento, e di questo nel programma non se ne parla molto.

Angeli sì, ma non beneficienza.

 

Giovanna Cataldo
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Nata nel 1991 in Calabria, università a Milano (secondo anno di specialistica in Economics and Management of Innovation and Technology). Cittadina del mondo, curiosa e con mille interessi. La routine la annoia, stare sempre nello stesso posto non fa per lei. Scappa dalle responsabilità da adulti (che prima o poi la raggiungeranno). Appassionata di tutto ciò che è imprenditorialità, tecnologia, innovazione, made in Italy etc etc etc.