Luca Medici, in arte Checco Zalone, compie finalmente il suo debutto alla regia con una pellicola – nelle sale cinematografiche dal 1° Gennaio – che fin da subito, anzi, già dal rilascio del suo trailer, ha attirato su di se un polverone di critiche da parte sia dell’opinione pubblica, della critica e finanche della politica.
Il film, che ha suscitato lo scalpore e le protese di molti dei fan del comico pugliese, si intitola Tolo Tolo – storpiatura dell’espressione “Solo Solo” – e si presenta con una trama piuttosto semplice, per la gran parte innestato sul cosiddetto viaggio della speranza che il protagonista interpretato da Checco Zalone, dopo essere scappato in Africa per evitare problemi con il fisco italiano per finire poi a lavorare come cameriere presso un villaggio vacanze, compie insieme ad alcuni migranti dopo lo scoppio di una guerra che porterà alla distruzione dello stesso. Il racconto agile nello spaziare dalla situazione paradossale e al tempo stesso drammatica in cui viene calata la storia del protagonista, è ritmato unicamente dalle varie disavventure che danno corpo alla storia e dalla prudente ma sempre sfacciata ironia di Zalone. Amicizie, legami, tradimenti e il carattere istrionesco del protagonista cercano di animare una regia che trova qualche difficoltà nell’essere fluida e un montaggio che spesso si perde nello scandire il succedersi delle sequenze della vicenda. Il finale, forse scontato e moralistico, resta comunque divertente e audace per la scelta di inserire la componente animata al fine di trasmettere meglio il messaggio che infonde poi tutto il canovaccio della pellicola.
Un film, dunque, che probabilmente non si candida ad essere la commedia rivelazione dell’anno, non che questo fosse poi nelle intenzioni di chi l’ha ideato e prodotto, almeno a parere di chi scrive. Ma forse è proprio quello di cui finalmente avevamo bisogno di vedere da Zalone. Specie in un momento storico come quello che stiamo vivendo.
Le critiche si susseguono tra chi pretendeva dal comico un film più divertente, con maggiore irriverenza e comicità, sulla scia dei precedenti, e chi invece ritiene che nonostante le buone intenzioni di Zalone quella da lui intentata rappresenti comunque un’occasione persa, vuoi per mancanza di audacia o vuoi per la pecca di non aver approfondito alcuni passaggi della vicenda che rischierebbero così di rimanere come delle frecce scoccate nella direzione giusta senza tuttavia centrare in modo fatale il bersaglio.
Tuttavia c’è da dire che probabilmente chi è rimasto scandalizzato per la posizione espressa da Checco Zalone nel suo ultimo film, non ha mai davvero compreso chi fosse (interpretasse, n.d.r.) realmente il personaggio in questione e quale fosse il suo scopo; a partire dalla sua prima apparizione cinematografica. Il personaggio interpretato da Zalone in Tolo Tolo, infatti, non si discosta minimamente da quello che abbiamo imparato a conoscere nei quattro film che lo hanno preceduto (Cado dalle nubi, Che bella giornata, Sole a catinelle e Quo vado?): il classico volgarotto, mediocre italiano medio, superficiale e pressapochista, pieno di luoghi comuni e pronto a trovare un modo, il più “italiano” possibile, per aggirare il sistema. Sennonché, questo personaggio questa volta si scontra con una realtà, concettualmente e praticamente, ben diversa da quella più vicina alla “tradizione” del nostro paese, magistralmente dipinta nelle precedenti pellicole – specie l’ultima Quo vado? – imbrigliato com’era tra la corruzione politica, stereotipi e modi di fare tipici dell’uomo medio del nostro paese.
Zalone si confronta con un tema preciso, drammatico e tragicamente attuale, e decide di assumere una posizione chiara. Attenzione, non tanto da un punto di vista politico o morale, questo lo ha sempre fatto a meno che non ve ne siate accorti – e sareste pure molto ingenui, in tal caso – quanto con riferimento al modo in cui intende trattare l’argomento e, giocoforza, farcelo affrontare a noi come spettatori. Checco Zalone decide di mettere da parte, probabilmente anche in ragione della delicatezza dell’argomento, quella sua comicità dissacrante e ironica che ha costituito il motore trainante di tutta la sua carriera, non solo della sua filmografia, per affrontare la tematica di petto, senza fronzoli, senza correre il rischio che il lato drammatico e doloroso delle vicende narrate venisse offuscato sotto la coltre dell’ironia e delle risate incontenibili che i suoi film hanno sempre suscitato sul grande pubblico. Zalone, attraverso il paradosso, ci costringe ad un’empatia catechetica alla quale nessuno spettatore può sottrarsi: metterci nei panni altrui, di quelli sfortunati solo perché una “cicogna strabica” li ha fatti nascere dalla parte sbagliata del mondo. Non solo, ci impedisce di essere indifferenti e annebbiati nella nostra quotidiana vita occidentale, che per quanto ci appia scomoda, ci consente, fortunatamente, di non fare i conti con quanto di tragico non ci riguarda, sebbene accada a poche miglia da noie spesso con il benestare o la connivenza dei nostri “buoni” governi. Parliamoci chiaro, chiunque parli di guerra, di sopravvivenza, di carestia assoluta non ha assolutamente idea di cosa stia parlando. E con ciò, sia chiaro, ci si riferisce a tutti, anche a quelli che difendono con tutta la loro forza certi diritti o valori: quanti di noi sono mai stati in un centro d’accoglienza? Quanti di noi hanno visto uno sbarco? Centinaia di corpi galleggiare nel buio della notte sino al punto in cui le vesti sgualcite finiscono per confondersi con la superficie del mare? Quanti hanno respirato l’odore di un migliaio di persone chiuse in uno spazio destinato a contenerne meno della metà e con un solo bagno? Eppure, quanti di noi oramai non accennano più ad alcuna sensazione di trasalimento dinanzi all’ennesima notizia di naufragio in mare, o di fronte all’ennesima strage di innocenti? Tutto ciò mentre politici mediocri – esattamente come il concittadino di Checco nel film, che riesce a scalare il successo passando in fretta dal personale giudiziario alla Presidenza della Commissione Europea – dividono interi popoli, come le due frange opposte in protesta durante la scena dello sbarco, mentre i paesi europei si dividono “al kilo” i migranti.
Inoltre, non possiamo non sottolineare la bravura di Checco Zalone nel momento in cui ci fa entrare in contatto con quella che, sapientemente, viene rappresentata più come una tendenza psicologica che politico-storica. Il protagonista infatti durante il corso della vicenda, specie nei momenti più caotici o di stallo, un po’ come accade nella realtà, viene assalito da quelli che gli vengono diagnosticati come “attacchi di Fascismo”: sente le voci di Mussolini, ne impersona le buffe e grottesche espressioni, comincia a stare male, entra in crisi fino ad impazzire e perdere i sensi. Ora, a parte la connessione tra la malattia mentale e fascismo, quello che mette in risalto la regia attraverso le parole del medico che presta soccorso a Checco è che il fascismo “è dentro ciascuno di noi”, possiamo tutti diventare degli inconsapevoli intolleranti e razzisti in presenza di certe circostanze; magari proprio come quelle che stiamo vivendo in questo momento storico. Un po’ come la candida, per dirla con l’acuto e ingegnoso paragone utilizzato da Zalone in risposta alla diagnosi del medico. Una lezione morale, che in certi casi, non è mai di troppo.
Insomma, per concludere, Tolo Tolo è un film ritratto dei nostri tempi, che offre uno spaccato concreto del nostro paese e della psicologia collettiva che lo contraddistingue, dando vita ad un quadro dove molte sono le ombre e davvero pochi anche se consistenti gli spunti di luce. Forse le sale cinematografiche che hanno ospitato questo film saranno meno chiassose ed euforiche di quanto ci aspettavamo o volevamo, ma l’impegno civile e umano di Checco Zalone che raccoglie finalmente una sfida molto difficile finisce per consentirci di mettere da parte l’amarezza di una promessa disattesa di un film superficiale e divertente, per lasciare spazio alla possibilità di fare tesoro della conquista di una nuova consapevolezza rispetto a certe realtà non distanti da noi. Una consapevolezza raggiunta con qualche imperfezione, in modo un po’ amaro, un po’ malinconico, come succede quando ci accade qualcosa che non ci aspettavamo, quando le serate vanno diversamente da come ci aspettavamo, ma sempre col sorriso.