Quote rosa: sì o no?

Di Marilù Greco

Quote-rosaEssere donna è così affascinante. È un’avventura che richiede tale coraggio, una sfida che non annoia mai. Avrai tante cose da intraprendere se nascerai donna. Per cominciare avrai da batterti per sostenere che se Dio esiste potrebbe anche essere una vecchia coi capelli bianchi o una bella ragazza. Poi avrai da batterti per spiegare che il suo peccato non nacque il giorno in cui Eva raccolse la mela: quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disobbedienza. Infine avrai da batterti per dimostrare che dentro il tuo corpo liscio e rotondo c’è un’intelligenza che chiede di essere ascoltata.” Questo per Oriana Fallaci costituisce il significato autentico dell’essere donna. Questa, la sfida che inevitabilmente comporta. Una sfida spesso costellata da numerose difficoltà che, probabilmente derivano da una parità utopistica e tanto anelata, però mai effettivamente raggiunta.

È evidente che in un Paese che si professa democratico il problema della integrazione della donna, soprattutto in ambito lavorativo, non dovrebbe nemmeno porsi; eppure è da anni che non solo la questione si pone, ma si rinvengono numerose difficoltà ai fini della sua risoluzione pratica.
Uno degli strumenti con i quali si è cercato di arginare il problema in questione è stato quello delle molto discusse quote rose, forse troppo rilegate ad ambiti politici e dirigenziali e poco agli altri ambiti lavorativi prevalenti. Gran parte dell’opinione pubblica, infatti, si è schierata contro le quote rosa, rilevando che questa di fatto sia un’ammissione implicita di debolezza e diseguaglianza delle donne. Ma forse il seguente ragionamento presenta lo stesso errore nella premessa inveterato nei movimenti femministi: cioè perseguire i diritti delle donne non vuol dire fare della donna un surrogato dell’uomo perchè checchè se ne dica uomini e donne partono da una situazione di differenza sostanziale e incolmabile. Differenza che deriva dall’attribuzione alla donna di un ruolo sociale e familiare ben più complesso rispetto all’uomo e, a mio avviso, naturale. Differenza che inevitabilmente si rispecchia anche nella vita lavorativa: quale datore di lavoro, magari anche di una piccola impresa, assumerebbe una donna appena sposata (con rischio di imminenti gravidanze e successivi periodi di maternità retribuiti) quando potrebbe fare la scelta ben più agevole di scegliere un uomo che sicuramente tutti questi problemi e perdite anche a livello economico non li comporta? E si deve effettivamente biasimare un comportamento del genere, con la crisi dilagante e via dicendo? Non mi sento, in questo caso, di esprimere un giudizio di valore.
Forse è possibile solo constatare che sicuramente una situazione di diseguaglianza sostanziale sussiste, ed è inutile negarla.
Come in tutti i settori, dall’economia al diritto le situazione di disequilibrio devono essere riequilibrate. Il fatto di prevedere delle quote rosa previste espressamente dalla legge ne costituisce un chiaro tentativo. Eppure queste ultime hanno finito per essere marginate a problemi politici e parlamentari, di rilievo sicuramente marginale rispetto al problema della integrazione delle donne riguardo gli ambiti lavorativi in generale, e le discriminazioni e molestie che queste quotidianamente si trovano ad affrontare. Ma d’altra parte come fare a garantire l’assunzione di donne preparate e competenti senza un sistema legislativo che lo imponga in maniera diffusa?
Eppure in conclusione, un’osservazione per quanto amara, si impone necessaria: ancora oggi nel XXI secolo essere donna, quello stato che Oriana Fallaci definisce ” la sfida che non annoia mai” ha ancora bisogno di uno strumento legislativo per essere imposto e garantito. Su questo forse, più che sul mediatico strumento delle quote rosa, si dovrebbe davvero riflettere.