Sono anni che sentiamo parlare di cambiamenti; è troppo tempo che le speranze del popolo calabrese si disperdono nelle parole vuote di chi promette di incarnare la risposta a un’istanza di rinnovamento che è oramai ben lungi dal rappresentare semplicemente un desiderio comune, rappresentando perlopiù un’esigenza impellente e improcrastinabile per una regione che oggi è il fanalino di coda di tutta l’Europa. Pertanto quando mi viene presentato Simone Tropea, non so ancora bene cosa aspettarmi. Simone è un ragazzo giovane è ciononostante con molta esperienza: ha studiato in Italia, Spagna e Inghilterra, laureatosi in Filosofia ha deciso di specializzarsi in filosofia morale e bioetica, temi che lo hanno occupato nella redazione di alcuni scritti; giornalista freelance, ha profuso un forte impegno nel sociale e nel volontariato, oltre ad aver presieduto per tre anni una scuola di formazione politica chiamata “Giovani, liberi e forti”. Lo incontro in una serata conviviale e rilassata, il suo sguardo è lo stesso di molti ragazzi della nostra età: determinato nonostante tutto il contesto, lucido sebbene consapevole dell’incertezza del futuro e dalla fatiscenza del presente.
Simone dunque, com’è nata l’idea “Quando comincia il Futuro”?
“Quando comincia il futuro?” nasce dal bisogno di trovare una nuova forma di impegno politico e culturale, che non sia centrato sull’acquisizione di un potere, da esercitare con criteri arbitrari, ma si qualifichi rispetto alla capacità di creare una rete di persone, di estrazione sociale e sensibilità politiche diverse, disposte a ritrovarsi tutte sul piano della pura operatività, per risolvere in modo originale e inedito le problematiche principali che caratterizzano la vita di almeno due generazioni di calabresi. Disoccupazione, lotta alla ‘ndrangheta, spopolamento, mancanza di servizi primari e inefficienza delle strutture sanitarie, e così via. È il bisogno di superare strutture di conflitto ataviche e paralizzanti, attraverso l’adozione di un approccio alla vita sociale sostanzialmente ” non bellico”. Non si punta il dito contro nessuno, insomma, ma si collabora con umiltà e impegno per ottenere dei risultati obiettivi in un tempo ragionevole. L’idea è nata dalla stanchezza che provavo ogni volta che ero costretto a riconoscere come all’origine dei tanti “nulla di fatto” che hanno segnato la politica calabrese, ci fosse solo una serie di rivalità personali irrisolte, guerre tra fazioni e cordate, minoritarie ma potentissime, insomma, tutte le nevrosi di una piccola oligarchia rancorosa e perennemente in conflitto interno.
Sono tanti i movimenti, i gruppi e le associazioni politiche che da anni si propongono di realizzare il cambiamento di cui tu parli. Quale ritieni essere l’elemento differenziale di questo progetto rispetto a quello di queste altre esperienze?
Sono tutte esperienze valide, quelle che hai citato. Credo che però che non sia un problema di singole iniziative, o movimenti, credo che sia determinante, per noi, parlare della necessità di un cambiamento “antropologico”, accolto come un fatto, che lo sviluppo tecnologico ed economico ha prodotto, e assunto come una sfida, come un cammino nel quale si apre un bivio. Se davvero vogliamo rispondere alla sfida dei tempi dobbiamo fare in modo che la realtà, in tutta la sua complessità prevalga sulle nostre idee particolari. Non dobbiamo solo cambiare una struttura. Siamo noi a dover cambiare. Non dobbiamo affermare idee e principi e poi tentare di metterli in pratica, ma al contrario, i principi devono emergere naturalmente dall’ascolto comune dei propri bisogni. Non è prioritario l’obiettivo, ma è prioritario il processo. Se inneschiamo un processo di conversione personale e politica, come tensione verso un bene reale e condiviso, dove l’altro è considerato come un pari perché partecipa come me al destino di un contesto storico e geografico, allora probabilmente otterremo una diminuzione reale della disuguaglianza sistemica che ci affligge. Ma se ricerco un obiettivo qualsiasi, a prescindere dall’altro e dal suo bisogno, fosse anche una pretesa assurda la sua, nel caso in cui dovessi vincere non otterrei altro che una collocazione migliore, per me, in una gerarchia sociale fondata sempre, e ancora, sulla violenza e sul sopruso. Se vogliamo neutralizzare la mafia, per esempio, dobbiamo combattere la nostra tendenza ad ottenere quello che ci sembra sia fondamentale per noi costi quel che costi. Fosse anche la giustizia. Può sembrare scandaloso, ma non c’è un’altra via. Lo impariamo dal ‘900. La giustizia è cambiare mentalità, passare dalla logica della vendetta a quella della riparazione, pensando, per esempio, a come offrire ad un mafioso o ad un normale cittadino che si lega al potente di turno per sopravvivere, un modo per potersi riscattare come uomo. Noi proponiamo un percorso politico-culturale, dove chiunque partecipi sia disposto ad essere lui stesso quella trasformazione che invoca, definendo quella che allora non è più solo un’idea, ma un’esperienza, in una proposta di legge che possa innescare, a sua volta, una trasformazione politica più profonda ancora. A tutti i livelli, e per tutti gli ambiti nei quali invitiamo le persone ad impegnarsi, vale questa logica che ho considerato a partire da un caso limite. Non dobbiamo pensare o progettare un cambiamento, dobbiamo incarnarlo.
Il 21 febbraio, presso il cinema Modernissimo, avrà luogo il primo incontro di presentazione del progetto “Quando comincia il futuro”, l’evento prevede la partecipazione del noto filosofo Marco Guzzi e del presidente della Commissione Nazionale Antimafia. Quali sono i tuoi auspici per questa giornata?
Mi auguro che i cittadini calabresi possano riconoscere in questa iniziativa una possibilità reale di riscatto per la propria terra. Si creeranno trenta gruppi di lavoro, 6 per provincia, per sei ambiti diversi. La lotta alle strutture di connivenza diretta e indiretta; La necessità di rispondere al dramma dello spopolamento, della disoccupazione e della nuova emigrazione; Alla crisi della sanità; alla scarsa valorizzazione del patrimonio artistico, storico e paesaggistico; soluzioni efficaci per la tutela delle minoranze etniche e linguistiche e per l’integrazione dei migranti. Al dramma del dissesto infrastrutturale e alla mancanza di trasporti. Sono problemi che ci toccano tutti, e tutti abbiamo la possibilità di aderire ad una iniziativa che rappresenta un’esperienza di democrazia diretta, inedita in dialogo con le istituzioni.
Cosa aggiungere? Chissà che quel vento di rinnovamento non stia cominciando a spirare proprio tra le parole di Simone. D’altronde si sa, la speranza è l’ultima a morire anche in Calabria.
Pubblicato sul Quotidiano del Sud- l’Altravoce dei Ventenni il 17/02/2020