Persuasivi o persuasi? La sottile linea da riconoscere nel marketing

Lavorando in una libreria, la domanda che da un po’ di tempo a questa parte mi viene posta più spesso è: “Dove trovo libri di finanza?”. Le prime volte rispondevo che non avevamo nulla, essendo un settore molto specifico e anche piuttosto vasto: proponevo così, in compenso, libri di management. All’inizio i clienti davano un’occhiata, ma non erano quelle gli argomenti che cercavano e spesso andavano via a mani vuote. Analizzando un po’ più a fondo le loro richieste e, soprattutto, vedendo la sempre più giovane età di persone che richiedevano queste tipologie di libri, ho capito che quello che per loro è “finanza” altro non è che “psicologia del marketing”.

“Come trattare gli altri e farseli amici”, “Leadership emotiva”, “Metodi di persuasione” sono solo alcuni tra i titoli che vengono più acquistati. Mi ha particolarmente incuriosito vedere come libri di psicologia pura vengano richiesti in grandi quantità da giovani sotto la richiesta di libri di finanza. Questi libri fanno leva su alcuni fattori che attraggono particolarmente la loro curiosità. Sono scritti innanzitutto da persone del settore, come psicologi sociali o manager di aziende, e al loro interno vengono riportati esempi autobiografici in cui dimostrano che solo grazie allo studio dei metodi persuasivi sono riusciti a fondare le loro aziende. Effettivamente, noi siamo quotidianamente bombardati da messaggi, espliciti o occulti, che ci influenzano nelle nostre scelte. Vedere esposta in vetrina una collana con gemme rosse posta su un cuscinetto di seta e illuminata da led bianchi ci colpirà più di una collanina sottile, confusa insieme ad altri oggetti, posta direttamente su una mensola di vetro e illuminata da luce più fioca; impulsivamente e inconsapevolmente tenderemmo ad ammirare quella coi rubini senza sapere che ha un valore decisamente minore rispetto alla collanina più sottile.  Questo è solo un esempio spicciolo, ma i metodi di persuasione nel campo del marketing sono infiniti, efficaci e derivano da studi approfonditi.

Il fascino di queste tematiche è fuori di dubbio. ma la cosa che fa riflettere è: basta davvero conoscere unicamente la psicologia sociale per sfondare nel campo del marketing? Se fosse così semplice probabilmente ognuno di noi sarebbe titolare della propria azienda e riusciremmo a garantire assunzioni per migliaia di persone, così da eliminare una volta per tutte il problema della disoccupazione che in Italia è sempre più dilagante.  Eppure, non è così semplice. La psicologia è solo una parte, certamente importante, del marketing, ma bisogna anche conoscere a fondo il mercato di riferimento con cui ci si deve confrontare, è necessario avere competenze strutturate in materia di economia e statistica, bisogna conoscere i pro e i contro del periodo storico in cui ci si trova e magari avere conoscenze geopolitiche su cui si possano fondare le decisioni di investimento future.  Spesso tutto questo viene tralasciato e si pensa più comunemente che basti sapere influenzare il prossimo attraverso tecniche di convincimento e persuasione per riuscire a diventare manager.

Questo pensiero comune si è diffuso principalmente tra i giovani, primi fruitori di social, che scorrendo la home di Instagram o Facebook incontrano le tipiche inserzioni pubblicitarie sempre più invasive. Basti pensare a quei video casuali dalla durata brevissima in cui giovanissimi uomini o donne si riprendono in piscina sorseggiando il loro cocktail in dolce compagnia e invogliano le persone a seguirli sui loro profili social, a iscriversi ai loro canali per sapere quale percorso svolgere per diventare ricchi e belli come loro. Ottenuto il follow, propongono poi di iscriversi a corsi a pagamento per imparare le tecniche psicologiche utili per riuscire a diventare manager, stando comodamente seduti nelle proprie case. Tutta questa metodologia di attrazione non fa altro che dilagare tra i frequentatori dei social, spesso giovanissimi, che si iscrivono a questi corsi convinti che avranno un lavoro magnifico e che frutterà soldi senza sforzi.

Ed ecco che la tecnica di persuasione ha funzionato.  Il guadagno di chi propone questi corsi non è avere un’azienda di cui si è manager, ma guadagnare dall’iscrizione ai propri corsi per formarli a “essere” manager. Quello che dovrebbe svelare le tecniche di persuasione, è a sua volta, una sorta di trappola della persuasione. 

Il fatto che i più giovani siano i protagonisti principali è indicativo della tendenza del “tutto e subito”: non si ha voglia di aspettare per avere un guadagno. Il noto percorso di studiare, laurearsi, cercare lavoro e stilare il proprio cv è superato. Vedere esempi di persone che, senza alcun percorso scolastico, siano arrivati ad occupare posti dirigenziali mai ben dichiarati di aziende mai esplicitamente nominate, ha fatto sì che l’obiettivo comune non fosse essere realizzati in quello che piace fare, ma diventare personaggi noti e guadagnare tanti soldi.  L’idea comune è saper vendere se stessi pagando qualcuno che insegni a farlo: a pensarci bene, tutto si basa su un climax di influenza mentale poiché non ha molto senso pagare terzi che mi insegnino a sapermi proporre se l’unica persona che conosce me stesso sono proprio io. Tutta questa serpentina di scelte pilotate tende non solo a scalfire la struttura identitaria dei singoli, che così si uniformano alla massa per sentirsi “giusti” nelle proprie scelte, ma soprattutto fa passare l’idea che non è con l’impegno che si raggiungono i risultati.

Ciò detto, le tecniche di vendita e persuasione derivano da studi sociali ben approfonditi e sono parte di un campo di psicologia umana vastissimo oltre che molto interessante. Conoscerle significa anche saperle riconoscere così da saper definire la linea sottilissima che separa l’essere persuasivi dall’essere persuasi.  Come diceva Toni Servillo nel film “Loro”, interpretando un personaggio discusso e discutibile, ma dotato di grande capacità persuasiva: “Una verità è il frutto del tono e della convinzione con il quale la affermiamo. L’unica cosa che importa è che tu mi hai creduto”.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni