Il voto spiegato a un bambino
Nel periodo pre-elettorale è facile parlare di chi dovrebbe votare cosa, dei programmi elettorali e dell’importanza storica del voto.
Se queste cose è meglio lasciarle fare a chi ci capisce qualcosa (sempre meno, ormai, ma d’altronde oggi – perdonate la cacofonia – siamo tutti un po’ tuttologi), io vorrei semplicemente evidenziare un fatto semplicissimo, ai limiti della banalità: votare è essenziale, votare è bellissimo.
Non mi definirei un’esperta di politica, e nemmeno di storia moderna, e tantomeno di filosofia e di scienze sociali. Sono solo una ragazza di provincia come tante, vissuta all’ombra di una grande città dalla quale rifugge, tra distese di cemento e spicchi di verde rasenti la tangenziale, dove votare è appannaggio di pochi. Sono cresciuta in una famiglia politicamente impegnata, quello sì, soprattutto dal punto di vista paterno; la sua, però, è sempre stata una visione statica, arrabbiata. Essere una persona romantica ti aiuta in tante cose della vita, anche ad essere meno rancorosa e disposta a pensare che le cose, alla fine, andranno sempre per il verso sbagliato.
Non ho mai smesso di credere, in questi quasi dieci anni (sigh) di elettorato attivo, mai ho pensato una sola volta che tutto potesse essere inutile. E ogni volta, nonostante tutto l’avverso che può esistere (e devo dire che oggi ne esiste molto. Spesso mi chiedo se la politica possa, in effetti, arginare tutte le nefandezze di questo mondo. Possiamo davvero pretenderlo? Ma questa è un’altra storia), ho sempre cercato in me – e negli altri – la forza di informarmi, cercare, confrontarmi e, alla fine, decidere.
Quanto è bello, decidere? Dal latino decīdĕre, dall’unione del prefisso de- = da con il verbo caedĕre = tagliare. Quindi, letteralmente, decidere significa tagliare da, tagliar via, dare un taglio a tutto ciò si insinua nei nostri pensieri e selezionare solo quello che fa per noi.
Scegliere è l’atto più adulto che mi capita di fare e che la vita mi costringe a fare: d’altronde, essere grandi non vuol dire anche – e soprattutto – prendere una posizione? Scegliere il gusto di pizza, una casa, le amicizie da salvare e quelle da accantonare, i giorni di ferie da prendere al lavoro, l’investimento più redditizio. Scegliere di andare fisicamente a votare – ci vogliono cinque minuti, anche perché di file in quasi dieci anni di voto, ancora non ne ho viste – e poi, solo poi, cosa e chi votare. Una doppia scelta, e la realtà dei fatti suggerisce che la più difficile sia, inspiegabilmente, la prima.
Scegliere, scegliere, scegliere: fa paura, eppure è tutto qui quello che divide la nostra vita adulta da tutto quello che c’era prima.
È bello votare: volete dire che non è bello quando finalmente riesci a montare un mobile?
Mi dà la stessa soddisfazione. Anche se non ci ho capito nulla, e l’anta traballa e i piedi sono montati storti, io inizio a riempire comunque gli scaffali di vestiti e scarpe e cianfrusaglie, e mi convinco di aver fatto proprio un buon lavoro. Forse la mia comprensione è solo parziale, e non può che essere così; sono una semplice cittadina, non ho particolari velleità politiche. Eppure, l’atto di votare mi da l’idea di aver risolto un enigma, di aver trovato il chiodo per montare – finalmente – l’ultimo scaffale della libreria.
E se qualcuno si chiedesse ancora perché votare è importante, gli direi che se voti, puoi far sentire la tua voce. E farla sentire ti legittima a lamentarti, poi, quando le cose non vanno. È una banalità, eppure non tengo più il conto di quante volte mi sono ritrovate a spronare gli altri a suon di banalità.
E se siete ancora convinti di volervi astenere e pensate che votare non serva a nulla – e conosco tanti, tantissimi che lo pensano, la mia periferia politicamente disimpegnata ne è piena -, riflettete sul fatto che è solo per un milione di voti di differenza che il Regno Unito è uscito dall’Unione Europea. La verità è che le persone che andranno a votare faranno la vera differenza, indipendentemente da cosa voteranno. Nessuno farà caso a chi starà a casa: il senso della democrazia è la rappresentanza, e chi non mette quella “x”, rinuncia alla rappresentanza.
Votare è una forma di investimento nella democrazia alla quale, data la deriva mondiale (ma anche europea), mi ancoro con tutte le mie forze e alla quale, anno dopo anno, elezioni dopo elezioni, non sono ancora pronta a rinunciare. E comunque, qualche passo avanti l’ho fatto: almeno oggi ho imparato a piegare la scheda elettorale per il verso giusto.