Che il tumore faccia paura lo sanno tutti. Pochi sanno, però, che quella parola fa paura pure dopo anni e non solo per una serie infinita di termini medici tra cui “familiarità”, “recidiva”, “check-up”, no. Fa paura anche per il giudizio, compreso quello degli altri malati.
Ho passato giorni interi, lo scorso maggio, a cercare di capire se io potessi o dovessi fare la mia prima “Race for the cure” vestita di rosa o di bianco. Nella mia mente si accatastavano pensieri su pensieri nel tentativo di costruire una sorta di gerarchia della malattia: volevo essere sicura di non offendere nessuno portando la maglia rosa perché, in effetti, io non ero stata male quanto molte delle donne che avrebbero corso con me. Altrettanto, non volevo indossare una maglia bianca perché, da un lato, la mia cartella clinica mi dava diritto alla maglia rosa, dall’altro, per la prima volta nella mia vita, volevo abbandonare quella sorta di esasperato pudore che riservo alla mia vita personale. Alla fine, ho scelto di correre in rosa e mai decisione fu più saggia.
Mi sono resa conto, in mezzo a quelle donne, che nessuna di loro avrebbe chiesto le mie “credenziali”, nessuna di loro mi avrebbe domandato di poter leggere la mia documentazione medica, nessuna di loro mi avrebbe chiesto se avevo diritto o meno a quella maglia. Insomma, ho capito che “Pink” non è un colore, è una mentalità.
Prescindendo dalla gravità della malattia, quelle donne si riuniscono per condividere quello che la malattia ha insegnato loro: l’accettazione di sé. Vedevo sfilare davanti a me donne di tutte le età, alcune con lunghi capelli ad adornare i loro bei volti ed altre con le bandane in testa a coprire i danni della chemio ma con un sorriso grande come il mondo e caldo come il ventre di una femmina; alcune truccate, altre completamente struccate; alcune in perfetta forma fisica, altre con le stampelle.
Quello che più mi ha emozionato è come nessuna di loro scrutasse le altre, ma si guardavano tutte. E in quello scambio di sguardi si riconoscevano, si legittimavano, si amavano. Hanno guardato pure me e la mia maglia rosa, senza chiedermi perché la indossassi ma, piuttosto, implicitamente, domandandomi quale apporto volessi dare con la mia presenza in quel contesto. Dalla sincera onestà con cui loro si mostravano a me, ho compreso quale fosse il reale motivo della mia presenza alla “Race for the cure”: certamente non potevo insegnare nulla sulla prevenzione o sul rispetto del proprio corpo, su cui ancora devo lavorare parecchio, essendo una paziente indolente, incostante e con uno stile di vita decisamente molto lontano dall’essere salutare. Ero lì come testimone di un preciso miracolo umano e il mio compito era quello di trasmetterlo a più persone possibile: il cancro si vince con la scienza e la ricerca ma tutto l’immenso dolore che circonda la malattia si vince solo con l’accettazione di questa nuova condizione e con il supporto di chi ti sta intorno. Per “intorno” non intendo solo amici e familiari, nonostante mi abbia scaldato il cuore vedere tante di loro accompagnate da mariti, mogli, compagni, compagne, figli e fratelli; per “intorno” intendo il vasto sistema degli esseri umani tutti. Per questo vi dico di contribuire con ogni piccolo gesto a quei sorrisi: donate alla ricerca, donate i vostri capelli quando li tagliate per farne delle fantastiche parrucche destinate a quelle di noi che si stanno cimentando con la chemio e soffrono nel vedersi calve. Arrivo a dirvi, aiutatele amando il vostro corpo, lontano dagli ideali preconfezionati della bellezza di plastica: il seno non deve essere grande, piccolo, sodo o meno sodo. Deve essere sano. Fatelo, anzi, facciamolo per loro e per la grande verità che ogni anno svelano al mondo: vincere il cancro si può e tutti insieme fa meno male.
Sapete pure come potete aiutarle? Sfruttando il mese della prevenzione del cancro al seno: molte Regioni aderiscono alla campagna del “mese rosa” e, a tal proposito, vi segnalo che la Regione Lazio, tramite le sue ASL, offre ben tre percorsi di prevenzione gratuiti alle persone comprese nelle seguenti fasce d’età: donne 25-64 anni per la prevenzione del tumore del collo dell’utero; donne 50-69 (volontario fino a 74 anni) anni per la prevenzione del tumore della mammella; donne e uomini 50-74 anni per la prevenzione del tumore del colon retto. Sul sito della Regione Lazio sono presenti tutte le informazioni per accedere ai trattamenti. E che dire de “La Carovana della Prevenzione”? E’ il Programma Nazionale Itinerante di Promozione della Salute Femminile di Komen Italia che offre attività gratuite di sensibilizzazione e prevenzione delle principali patologie oncologiche di genere.
Ora, cosa state aspettando? Noi ci vediamo alla prossima “Race for the cure”!
“Acqua cheta rovina i ponti”.
Nessuna massima potrebbe riassumermi meglio. Sono irrequieta per natura, di quell’irrequietezza che non si sfoga in una vita di manifesti eccessi quanto in una di perenne flusso ideativo. Insomma: mi chiamo Angela ho 26 anni e non sto ferma un attimo, anche quando rimango seduta per ore a fissare un quadro. Un’altra cosa che penso possa valere la pena sapere su di me è che non sono mai così sincera come quando scrivo. Ecco, la scrittura è il mio personalissimo “vindica te tibi”.