Ogni parte di te è arte per me

Ho avuto l’opportunità di parlare con Stefano Colucci, giovane ed eclettico artista 25enne, del suo nuovo libro di poesie, Ogni parte di te è arte per me, progetto artistico e capitolo conclusivo di una trilogia poetica. Un libro dedicato all’arte, alla sua azione salvifica che ha aiutato l’autore a superare un periodo difficile e a trovare la bellezza anche nella disperazione. Un’opera sulla complessità del nostro mondo interiore, sull’accettare di sacrificare una parte di noi per dare la vita a qualcosa di migliore.

Scrittore di poesie, drammaturgo, regista, sceneggiatore, anche fotografo… finora hai dedicato la tua vita all’arte. Com’è nata questa passione?

È una cosa che ancora cerco di capire. Ci sono dei rimasugli di ricordi di cose, che risalgono a tanti anni fa, quando ero veramente piccolo. Ma non saprei dire davvero l’origine. Chi crede alle vite precedenti direbbe che è un qualcosa che viene da ancora più lontano, ma io non ho strumenti scientifici. Quello che posso dirti è che l’interesse per l’arte è nato quando ero piccolo, grazie a mia sorella. Lei ha sei anni più di me e ascoltava i Bluvertigo, Battiato, Gaber; guardava film indipendenti francesi, americani e io glieli rubavo. Non avevo molto da fare, essendo cresciuto in un paesino in provincia di Avellino, non ci sono cinema, non avevo amici, niente. Stavo a casa a guardare film, ad ascoltare musica. Poi volevo fare l’attore e sono andato alla scuola di teatro che c’era ad Avellino, lì ho conosciuto e imparato altre cose che mi hanno appassionato. Non ho fatto più quello e mi sono dedicato ad altro ma questi due passaggi, forse, possono rispondere alla domanda.

Parliamo della tua ultima opera, Ogni parte di te è arte per me e del progetto di videopoesia.

Il libro fa parte di una trilogia, è il terzo volume di un progetto che comprende altri due lavori poetici. Ho voluto che i due libri precedenti fossero accompagnati da dei video ma la loro realizzazione l’ho affidata ad altri artisti, più noti e più bravi di me. Questa volta, invece, con Ogni parte di te è arte per me, avendo già avuto un’esperienza da regista, ho deciso di fare io i video assieme ad altre persone con le quali avevo lavorato ad altri progetti video. Ho chiesto loro di lavorarci insieme, e girarli in casa. Per me casa significa andare alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma e camminare tra le sale. Però oltre alla Galleria c’è anche casa mia, quella dove vivo. Sapevo che l’avrei fatto e alla fine li ho realizzati, però quando il libro era già finito, ad Agosto 2020.

Che genesi ha avuto il libro? Quali esigenze ti hanno portato a scriverlo?

Ho passato un periodo particolare, forse il più brutto della mia vita, era l’estate 2018. Ancora non sapevo che fine avrebbe fatto il secondo libro, se sarebbe uscito e in più avevo dei problemi personali. Una notte non riuscivo a smettere di piangere e chiamai mia sorella in lacrime per chiederle supporto. Dopo di che mi sono detto “non posso stare in questo modo”. Iniziai a girare per i musei di Roma e mentre stavo lì il mio dolore guariva. Mentre guardavo le foto delle coppie che si amano nei paesi dove c’è la guerra, io empatizzavo con quelle foto e piano piano stavo meglio. Quindi iniziai a scrivere, finché, dopo tre mesi, mi resi conto che in quello che avevo scritto c’era un senso, e quel senso era l’arte. E così sono arrivato a, credo, una cinquantina di poesie in due anni, molto lunghe. Mi sono calato proprio nell’idea che ognuna di esse fosse un quadro e quindi stavo lì tutta la notte a dipingere mentre scrivevo. È stata un’esperienza bellissima. Il fatto stesso di scrivere penso mi abbia cambiato completamente a livello umano.

Rispetto alle altre due opere, come collocheresti l’ultimo libro? Ti senti più maturo rispetto alla tua prima scrittura?

Di recente ho fatti questo esercizio di leggere tutti e tre i libri, in ordine di uscita. E l’ho fatto sia per fare un viaggio nei ricordi e sia per avere un approccio più critico nei confronti della mia scrittura e dei miei libri. Dal primo sono passati un po’ di anni, era il 2016, l’ultimo è del 2020. Sono pochi ma a me sembrano tre vite e mezzo. Rileggendoli ho notato che i libri sono completamente diversi, proprio nello stile di scrittura. Per esempio, nell’ultimo – che è il mio preferito ma solo perché è l’ultimo, tra un anno avrò scritto un’altra cosa e dirò che quello è il mio preferito mentre questo qui lo odierò, conoscendomi –, a livello di scrittura, ho notato un avvicinamento molto concreto a quello che è il concetto standard di poesia.

In che senso?

Nei primi due ho sperimentato alcuni linguaggi che, mi rendo conto, a un occhio più critico potrebbero far storcere il naso e dire “questa non è poesia”, perché erano quasi dei monologhi in versi. Il primo libro aveva dei versi secchi quasi scollegati l’uno dall’altro che formavano una poesia. Ogni parte di te è arte per me, invece, riprende molto di più anche il concetto di metrica, che nei primi due invece ho totalmente ignorato, per delle logiche concettuali. Quello che volevo fare, con questi tre libri, era una storta di installazione. Tutti e tre i libri formano un cellulare, quello di un ventenne di oggi, nato nel ’95. Il primo libro sarebbe come andare a spiare i suoi messaggi e quindi troviamo un certo tipo di linguaggio. Nel secondo spii i suoi social network, e quindi un altro tipo di linguaggio. Nel terzo libro, che è strutturato come una galleria d’arte, vai a spiare la galleria del telefono. È qui che salvi le cose più intime e nell’intimità siamo profondamente complessi e quindi anche la scrittura diventa molto complessa. Così come i temi trattati nel libro: si parla di suicidio, di rimpianti, vita dopo la morte; e tematiche sociali come rivoluzione, politica. Tutte cose che per brevità non può dire in un messaggio e per decenza pubblica non può dire in un social. Ecco la differenza maggiore tra i libri. Però la cosa bella, credo, o che per lo meno piace a me, è leggerli uno dietro l’altro e vedere una persona che cresce, in questo mondo degli anni ’10 che ormai è finito, e affronta tutto. Credo che sia un viaggio completo e penso che il finale, l’ultima poesia (che è anche la mia preferita che abbia mai scritto) sia la chiusura giusta per quel tipo di viaggio.

Abbiamo parlato di forme e linguaggi poetici, cosa ne pensi della poesia oggi? Trovi che ci siano bravi poeti?

La poesia in questo momento, credo, è diventata ciò che Pasolini non credeva potesse diventare: una merce consumabile. Però qualche genio del male, oggi, ci è riuscito. Purtroppo, la situazione della poesia in Italia, ma anche e soprattutto all’estero, è questa: una questione di business. Una persona pubblica poesie, che non sono poesie ma frasi, su Instragram. Da qui, molte persone iniziano a conosce quell’autore, gli dicono che è bravo, quindi un editore vede che ha tanti numeri e capisce che quello che scrive, che produce, può diventare un prodotto consumabile, che porta profitto e quindi quella persona diventa uno scrittore. Questo è il percorso. Questo tipo di poesia è l’unico che al pubblico giovane di oggi viene venduto. Se a un sedicenne del 2021 viene messa davanti una poesia di uno dei poeti più in voga del momento, che vende tanto ma magari non è un grande poeta, e accanto l’Urlo di Allen Ginsberg, io sono sicuro che il ragazzo di 16 anni sceglierà Ginsberg, perché è più vicino alla sua età, per via di quello di cui parla: libertà sessuale, droghe; che è esattamente quello che ascolta questo ragazzo nelle canzoni di oggi. Semplicemente non sa che Ginsberg esiste, perché non glielo fanno leggere.

Essendo tu un autore così prolifico, mi incuriosisce: come vivi la separazione dalle tue opere? Pensi “sto dando via un pezzo di me stesso agli altri e ne sono felice” oppure sei molto geloso della tua arte?

È difficile rispondere a questa domanda, perché non ho una risposta che penda da un lato o dall’altro. Specie se quello che fai è molto intimo. In questo momento, per esempio, ho davanti un’installazione, che ho fatto l’anno scorso in quarantena e che non ho ancora trovato il coraggio di esporre in qualche galleria, perché ne sono geloso, talmente geloso che voglio rifarla da capo e farla ancora più bella. Però ho sviluppato un certo piacere erotico nel lasciare andare. Da qualche anno, quando devo fare un regalo a qualcuno, io regalo loro una cosa alla quale sono molto legato. Alla fine, è dare una parte di te, è un dono, un regalo, non te la stanno rubando. Sei tu che stai dando qualcosa e per me è bellissimo che quella persona la accetti. È uno scambio alla pari: tu accetti e vuoi leggere qualcosa che ho scritto io e che ho deciso di dare e a te. Per me è già come ripagarmi della fatica e dello sforzo che ho fatto nello scrivere.

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Stefano Colucci

Stefano Colucci (22 settembre 1995) nasce ad Avellino e vive a Roma, dove ha studiato Arti e Scienze dello Spettacolo presso l’università La Sapienza. Inizia a pubblicare poesie e racconti su Internet all’età di 16 anni costruendo un ampio seguito sui social network, in particolare su Instagram. Nel 2016 pubblica la prima raccolta di poesie, Precedenza al cuore. Due anni dopo, con Miraggi Edizioni, pubblica La confusione non è mai stata così bella. Dopo varie esperienze come attore sia in teatro che in televisione, nel 2019 debutta come autore teatrale con Invisibile che gli permette di farsi notare come drammaturgo dalla critica di settore. Nello stesso anno il suo progetto “Breath, Earth” è esposto a New York presso le Nazioni Unite e successivamente a Tokyo presso la sede della Soka Gakkai. Nel 2020 presenta a Roma, in concorso durante le Giornate di Cinema Queer, il cortometraggio Summertime mon amour di cui è sceneggiatore e regista. Nello stesso anno fonda Wonderlart, cantiere artistico e culturale, collettivo di giovani creativi con il quale realizza il progetto di videopoesia Ogni parte di te è arte per me. Sul finire del 2020 pubblica il libro omonimo, con il quale chiude una trilogia poetica sulle gioventù intitolata Youth Symphony e iniziata con la prima raccolta di poesie. A inizio 2021 entra ufficialmente a far parte dell’organizzazione delle Giornate di Cinema Queer in veste di selezionatore dei lungometraggi per la nuova edizione del festival.