Muse, attacco di droni anche a Roma: io c’ero

…siamo soggiogati in tutto il mondo da una cospirazione monolitica e instancabile che agisce in segreto per espandere la propria influenza

Così parlava John Fitzgerald Kennedy in un suo discorso alla nazione, e campionato nella canzone JFK del nuovo album Drones dei Muse. Soggiogati invece in positivo dalle sonorità sublimi e dagli effetti spettacolari come sempre, siamo stati in 35000 il 18 luglio all’Ippodromo delle Capannelle, dove si è tenuto il concerto evento del festival Rock in Roma.

10334252_10207043253420492_8269117726627715500_nI Muse quest’anno sono tornati alle origini, non proprio all’origine della simmetria, giusto per citarli (ndr. Origin of Symmetry è il secondo album della band), ma di certo l’aria che respiriamo ascoltando Drones è più rock e dura rispetto a quella del precedente lavoro sperimentale, The 2nd Law, più soft ed elettronico.

L’album, uscito lo scorso 8 giugno, inizia come una vera marcia militare di un esercito di uomini ormai schiavi delle macchine e della tecnologia usata in modo esasperato, in contrapposizione con lo schieramento attivo dei droni, pronti a prendere il posto degli uomini nella nostra società.
E’ un concept album, non una novità per i Muse, abituati a far ruotare ogni singola canzone intorno ad un tema ed una storia principale, con radici profonde nelle loro vite e nei loro pensieri del momento, in particolare del frontman carismatico e colto Matthew Bellamy, che per questo nuovo lavoro si è cimentato in letture sulla guerra dei droni sguinzagliati dalla CIA. Se in passato aveva studiato su libri di fisica teorica e su manuali della NASA per tirar fuori musica spaziale da concetti e oggetti quali la simmetria, l’iperspazio, i buchi neri, le stelle di neutroni (Origin of Symmetry, Black Holes and Revelations), o documentato sui presunti progetti di mind control dell’HAARP e dell’MK-ULTRA (HAARP, The Resistance), stavolta Bellamy è stato colpito dalla lettura del libro Predators, sull’utilizzo dei droni e sulla loro tecnologia, che gli ha fatto intravedere un futuro distopico e dominato da intelligenze artificiali in grado di manipolare le menti umane. Il protagonista di questa storia inquietante è quasi morto dentro, come cantano in Dead inside, e solo attraverso un processo di riscoperta di se stesso, ribellandosi all’oppressore (The Handler), diventando disertore (Defector) e libero, anche grazie all’amore (Aftermath), riesce a tornare vivo e a riprendere il controllo delle macchine impazzite. Non mancano poi i soliti spunti di musica classica (The Globalist, Drones) che danno quel tocco mistico a mo’ di preghiera implorante di salvataggio.

Bellamy sostiene che non tutte le storie di queste specie di zombie hanno esito positivo, ma se abbiamo forza interiore a sufficienza e voglia di vivere possiamo farcela.
Questo messaggio positivo i Muse sono riusciti a trasmetterlo anche nel loro concerto italiano, in cui hanno offerto quasi due ore di bella e potente musica tra pezzi vecchi e nuovi, tra bside e singoli vincenti; ci hanno salvato dagli scenari inquietanti proiettati alle loro spalle degni di droni impazziti che controllano il territorio, facendoci intravedere una luce stellare (Starlight immancabile nei loro live) a metà dello show e regalandoci una carica infinita nel finale con la cavalcata epica di Knights of Cydonia verso un futuro da uomini liberi.
Inutile dire che non sono mancati gli assoli da brivido suonati anche con la chitarra sulle spalle e le facce divertenti di Bellamy mentre si appropria della videocamera sul palco. Ma non sono mancate nemmeno tra i fan le polemiche per l’organizzazione ‘disorganizzata’ del festival; però il fantastico trio del Devon è riuscito a farci dimenticare anche questo. Perciò possiamo dire loro, con un’esplosione di coriandoli e stelle filanti come durante la performance del brano Mercy, merci Muse!


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Di Wera Di Cianni