Crediti: https://www.istat.it/it/files//2019/11/infograficaViolenzaDonne.pdf

L’Italia non è un Paese per donne

L’ISTAT in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, celebrata il 25 Novembre scorso, ha pubblicato uno studio molto interessante dal titolo “Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale” con riferimento all’anno 2018.

Il campione analizzato è rappresentativo della popolazione italiana e comprendente ambosessi tra i 18 ed i 74 anni, di tutte le regioni d’Italia; la rilevazione è stata effettuata in accordo con il Dipartimento delle Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio. 
L’Istat scrive che questa rilevazione consente di analizzare i fattori ed i modelli culturali che influenzano gli atteggiamenti di violenza, sia fisica che psicologica, nei confronti delle donne.
Prima di addentrarci nei dati statistici è importante puntualizzare alcuni concetti basilari. 
Secondo l’Enciclopedia delle Scienze Sociali di Birgitta Nedelmann “se si applica la teoria dei ruoli sviluppata da Heinrich Popitz all’analisi dei ruoli maschili e femminili, questi ultimi (i ruoli di genere) possono essere definiti come insiemi di norme di comportamento indirizzate agli individui di un determinato genere (culturalmente definito) in quanto differenti dagli individui di un altro genere (culturalmente definito)”. Quand’è quindi che la categoria sociologica “ruolo di genere” si trasforma in stereotipo di genere? Lo stereotipo riguarda una rappresentazione, inerente a persone o cose, rigidamente precostituita e generalizzata, basata su un preconcetto, ovvero su un’idea radicata su presupposti che non hanno fondamento scientifico. 
Lo stereotipo di genere nasce quando il ruolo di genere diviene una direttrice del comportamento umano dal quale non è possibile divergere: ad esempio le donne devono stare in cucina e crescere i figli, mentre gli uomini devono sostentare la famiglia e reprimere le proprie emozioni.

Da qui a “la donna che non vuole figli è contro natura” e “l’uomo che piange è frocio” il passo è breve. “Il radicamento degli stereotipi sui ruoli di genere, da una parte, e l’atteggiamento verso i comportamenti violenti, dall’altra, sono, infatti, le chiavi di lettura per comprendere il contesto culturale in cui le relazioni violente trovano genesi e giustificazione”[1].

La pericolosità sociale degli stereotipi di genere è, quindi, evidente, eppure continuiamo, consapevolmente e non, ad alimentarli. 
Dallo studio Istat emergere che gli stereotipi sui ruoli di genere più comuni nella popolazione sono:
“per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro” (32,5%),
“gli uomini sono meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche” (31,5%),
“è l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche della famiglia” (27,9%).
Il 58,8%, senza particolari differenze tra uomini e donne tra i 18 ed i 74 anni, si ritrova in questi stereotipi, più aumentano di intensità con l’avanzare dell’età (65,7% dei 60-74enni e 45,3% dei giovani) e sono inversamente proporzionali al grado di istruzione. 
Gli stereotipi trovano terreno fertile soprattutto nel Mezzogiorno (67,8%), in particolare in Campania (71,6%) e in Sicilia.
Entrando nel tema della violenza nella coppia, il 7,4% delle persone ritiene accettabile sempre o in alcune circostanze che “un ragazzo schiaffeggi la sua fidanzata perché ha civettato/flirtato con un altro uomo”, il 6,2% che in una coppia ci scappi uno schiaffo ogni tanto. 
Il 17,7% ritiene accettabile sempre o in alcune circostanze che un uomo controlli abitualmente il cellulare e/o l’attività sui social network della propria moglie/compagna.
Sardegna (15,2%) e Valle d’Aosta (17,4%) presentano i livelli più bassi di tolleranza verso la violenza; Abruzzo (38,1%) e Campania (35%) i più alti.
Alla domanda sul perché alcuni uomini sono violenti con le proprie compagne/mogli, il 77,7% degli intervistati risponde perché le donne sono considerate oggetti di proprietà (84,9% donne e 70,4% uomini), il 75,5% perché fanno abuso di sostanze stupefacenti o di alcol e un altro 75% per il bisogno degli uomini di sentirsi superiori alla propria compagna/moglie; la rabbia è indicata dal 70,6% della popolazione. 
Il 63,7% crede nel principio che la violenza generi violenza e che quindi violenze vissute in famiglia nel corso dell’infanzia predispongano ad atteggiamenti violenti in età adulta. 
Il 62,6% ritiene che alcuni uomini siano violenti perché non sopportano l’emancipazione delle donne, mentre è alta ma meno frequente l’associazione tra violenza e religione (33,8%). 
Persiste in maniera inquietante il pregiudizio che la donna sia responsabile della violenza sessuale subita, acclarando che il biasimo della vittima (blame the victim dicono gli inglesi) sia la strategia di negazione che va per la maggiore.

Il 39,3% della popolazione ritiene che una donna è in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole. Il 23,9% è ancora convinto che i vestiti indossati siano una giustificazione alla violenza.

A tal proposito consiglio di guardare i video su una danza, simile per potenza comunicativa a quella celeberrima haka degli All Blacks del rugby, di un collettivo femminista cileno. Mentre la ballano, bendate, gridano più volte una frase eloquente “lo stuprator eres tu” [lo stupratore sei tu n.d.r][2]. Dicono anche “la colpa non è la mia, di dove stavo o di come vestivo. Lo stupratore sei tu”.
Tornando allo studio Istat, altro dato terrificante è che il 15,1% del campione sostiene che una donna ubriaca o sotto l’effetto di stupefacenti che subisce violenza sessuale sia almeno in parte responsabile. 
Il 12,7% degli uomini ed il 7,9% di donne ritengono che molte accuse di violenza sessuale siano false; per il 7,2% “di fronte a una proposta sessuale le donne spesso dicono no ma in realtà intendono sì”, per il 6,2% le donne serie non vengono violentate.

I dati fin qui elencati dipingono un quadro preoccupante; molti dei pregiudizi che credevamo si fossero estinti sono ancora vivi e vegeti.
Pare che l’Italia non riesca proprio a farsi trascinare dal vento di rinnovamento tutto al femminile che sembra di sia alzando nel resto del mondo. Per citare alcuni nomi abbiamo Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione Europea; Christine Lagarde, presidente della Banca Centrale Europea; Sanna Marin, neo nominata prima ministra di Finlandia, la più giovane al mondo [34 anni n.d.r] e capo di una coalizione di 5 partiti tutti guidati da leader donne.
Oltre oceano troviamo Alexandria Ocasio-Cortez che lo scorso anno [a 29 anni n.d.r.] è stata la più giovane donna eletta come parlamentare nella storia degli Stati Uniti; Nancy Pelosi, speaker della Camera USA ed in prima linea sulla questione impeachment per Trump.
Poi ci sarebbero Greta Thunberg [16 anni] attivista ambientalista creatrice dei Friday For Future; Olga Misik [17 anni] attivista russa per i diritti civili; Feroza Aziz [17 anni] attivista americana che in un video su Tik Tok, simulando un tutorial sul makeup, ha parlato della repressione della minoranza Uiguri in Cina.

E in Italia? Maria Elisabetta Alberti Casellati, Presidente del Senato della Repubblica; Marta Cartabia, prima donna eletta a presidente della Corte Costituzionale (al momento confermata in carica per 9 mesi dei canonici tre anni della carica); Luciana Lamorgese, Ministro dell’Interno; Paola De Micheli, Ministro delle infrastrutture; Nunzia Catalfo, Ministro del Lavoro; Teresa Bellanova, Ministro dell’Ambiente; Fabiana Danone, Ministro della PA; Paola Pisano, Ministro dell’innovazione tecnologica e digitalizzazione; Elena Bonetti, Ministro delle Pari Opportunità. Per un numero complessivo di 21 ministri, solo 7 sono donne. Di queste 7 donne, solo 4 gestiscono ministeri con portafoglio. Giorgia Meloni, unica donna a capo di un partito politico. Tirate voi le somme.

[1] https://www.istat.it/it/files//2019/11/Report-stereotipi-di-genere.pdf, p.2

[2] https://www.facebook.com/lassedio/videos/2756754071217876/; Michela Murgia, scrittrice, introduce il video in una puntata de “L’Assedio” programma di Daria Bignardi, andato in onda su canale 9, il 4 dicembre 2019.

Crediti immagine: ISTAT