Il complesso tema della tecnologia (e in particolare del suo uso ragionevole) è assurto negli ultimi anni al centro del dibattito pubblico, soprattutto dopo la drammatica parentesi dell’emergenza pandemica mondiale da Covid-19. Dal regime emergenziale abbiamo, infatti, ereditato la consapevolezza che il mezzo tecnologico, razionalmente utilizzato, può rivoluzionare la gestione della vita individuale e collettiva. Dallo smart working alla formazione online, dalle riunioni in videoconferenza ai nuovi strumenti digitali per l’amministrazione pubblica, la società ha dovuto affrontare prima e metabolizzare poi in modo capillare una serie indefinita di novità sostanziali che hanno rimodellato lo stile di vita globale.
Eppure, resta latente il pregiudizio che gli strumenti tecnologici celino una qualche forma di pericolo, rappresentino una pericolosa deviazione dalla strada maestra della tradizione.
È una “sindrome da odore della carta”. Tutti conoscono almeno una persona che, vedendo un moderno lettore di e-book, lo ricaccerebbe indietro proclamando di preferire i libri cartacei “perché è diverso sfogliare, sentire l’odore della carta”. Ovviamente, il gusto personale è sacrosanto, ma non deve mancare la consapevolezza che la società evolve. Se il “nuovo” spaventava in epoche storiche remote, oggi si impone la consapevolezza che l’evoluzione è una componente motrice essenziale della storia umana. Tutto cambia: gli strumenti, ma anche i comportamenti e persino la percezione sociale e umana. Questi cambiamenti, fisiologici e inevitabili, devono essere elaborati e valorizzati per migliorare la vita di tutti.
Il lettore di e-book, ad esempio, consente di leggere un’infinità di libri, anche a chi magari non può portarseli materialmente dietro, con una consultabilità e accessibilità facilitata. Nei treni della metropolitana a Roma in alcuni vagoni ci sono manifesti che contengono i qr code per leggere i grandi classici della letteratura gratuitamente in formato ebook, offrendo al grande pubblico un’occasione in più per riscoprire opere importantissime. Pazienza se non si sente l’odore della carta.
La tecnologia offre, quindi, opportunità inaspettate e irripetibili, a maggior ragione in un momento storico in cui la sostenibilità ambientale è sempre più al centro dell’attenzione pubblica. L’opportunità di accedere alle informazioni in modo completamente paperless, riducendo consumi e impatto sull’ecosistema deve quindi essere adeguatamente tenuta in considerazione. È questo il senso profondo della signature green per e-mail “think before you print; do you really need to print this email?” (pensaci prima di stampare; hai davvero bisogno di stampare questa e-mail?).
Il tablet, il pc, lo smartphone consentono poi di veicolare le informazioni con una velocità incomparabile, ma anche e soprattutto di creare interconnessioni altrimenti impossibili. Se razionalmente utilizzati, sono strumenti eccezionali per abbattere barriere, costruire legami e comunità. Ecco, forse occorrerebbe riflettere su questo prima di accusare la tecnologia di aver disgregato i rapporti sociali, di aver frammentato relazioni e legami soprattutto tra i giovanissimi.
Anche qui, il pregiudizio è cristallizzato dall’immagine degli amici, seduti al bar, tutti intenti al cellulare senza parlare tra loro. Emerge e riemerge come un fiume carsico, almeno in una certa parte dell’informazione, l’immagine di una gioventù genuflessa verso gli schermi, anestetizzata dal flusso continuo della rete, svuotata di principi, di valori e di contenuti. Da quest’immagine posticcia e caricaturale si tenta maldestramente di dedurre che le nuove generazioni avrebbero sempre meno da dire. È quanto invece di più lontano dalla realtà possa pensarsi. Le nuove generazioni hanno infatti davvero tantissimo da raccontare, assorbono quotidianamente un’infinità di informazioni, vivono attraverso i nuovi strumenti tecnologici esperienze impensabili. Hanno problemi, sensazioni e riflessioni nuove e diverse rispetto al passato.
In conclusione, il “problema” non è dunque il mezzo tecnologico in sé. Occorre semmai indagare per quale ragione è sempre più difficile costruire relazioni vis a vis, perché siamo diventati una nuova “società della vergogna”, in cui il giudizio degli altri è così drammaticamente importante. Il problema è più profondo, va oltre l’orizzonte tecnologico e ha radici sociali. Basti pensare agli haters: l’odio non è un fenomeno autoctono della rete, ma una conseguenza patologica di una società che non conosce bene sé stessa, che non capisce e non accetta a piena la diversità.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni