Howard Webb, uno dei migliori arbitri degli ultimi vent'anni

L’arbitraggio positivo

Le prime regole volte a dare ordine al gioco del calcio, le cosiddette “Shieffeld Rules”, furono stilate nel 1858. Da quell’anno il calcio si è evoluto, trasformandosi in qualcosa di molto, molto diverso rispetto alle sue origini. Sono cambiati i ruoli, i giocatori, gli schemi, le norme e, infine, la figura dell’arbitro. Si tratta di un discorso molto vasto, perciò vorrei soffermarmi semplicemente sul ruolo normativo che il direttore di gara ha assunto riguardo ad alcune situazioni si gioco, soprattutto sul fallo.
Oggi si dice che il calcio sia diventato uno sport quasi di “non contatto”, in cui viene fischiato e sanzionato qualsiasi tipo di intervento. E’ un calcio meno rude del passato. Io stesso credo che in futuro sarà difficile vedere giocare dei nuovi Gentile, Bruno (Pasquale, naturalmente), Montero o Materazzi, perché passerebbero partite su partite in tribuna a scontare le giornate di squalifica. Non avrebbero vita facile.

Questo cambiamento non è, però, dovuto a cambiamenti di tipo morale; non c’è un “ammorbidimento” spirituale generale. Sarebbe paradossale, infatti, vedere tanta violenza sugli spalti e così poca irruenza in campo. Tale mutamento è, invece, provocato dal diverso modo di applicare il regolamento. Se le Shieffeld Rules avevano un approccio piuttosto sfumato, oserei dire confuso, riguardo alle infrazioni di gioco, attualmente il nostro regolamento, “Regolamento, guida pratica e materiale didattico” del Settore Tecnico dell’Associazione Italiana Arbitri, può vantare una casistica molto più ampia, che contempla qualsiasi situazione ipotetica. Sono circa una ventina i contatti considerati “fallo” o “scorrettezza”. Ciò è il risultato di una politica volta a uniformare il grado di giudizio degli arbitri a livello internazionale e ne consegue che l’arbitro migliore è colui che applica in modo migliore il regolamento. In Italia, a causa del nostro spirito complottistico e polemico (è più facile dare la colpa agli arbitri che ammettere le proprie carenze) si è arrivati ad una interpretazione ossessivamente letterale delle norme. L’evoluzione del gioco del calcio, sotto l’aspetto dei regolamenti, si potrebbe, dunque, definire “positiva”, volta a osservare concretamente i fatti. In parole povere: le regole devono essere applicate, senza contemplare alcun tipo di interpretazione da parte di chi le fa rispettare, ovvero l’arbitro. Egli è diventato nient’altro che un banale esecutore della parola scritta, senza curarsi di ciò che è “giusto” o “ingiusto”. L’interpretazione sta ormai svanendo, nonostante nei regolamenti si faccia riferimento al “buonsenso”, inteso come “acume nella percezione del gioco, nell’attitudine dei giocatori, nel luogo e nel momento dell’infrazione” (Michel Vautrot).

Quali sono, perciò, le conseguenze più evidenti? Ogni contatto viene punito, senza curarsi della sua entità; il gioco viene molto più frammentato dai continui fischi; il tempo effettivo di gioco si riduce; aumentano le simulazioni o l’accentuazione del contatto e via discorrendo.

Il calcio odierno è forse più sicuro, ma sicuramente meno spettacolare, meno appassionante. Posso davvero credere che un leggero contatto sulla spalla di atleti di ottanta chili riesca a farli barcollare, cadere e rotolarsi come trottole urlando dolori atroci? La risposta mi pare evidente, pertanto concludo consigliando lasciare lavorare in pace l’arbitro, perché

“spesso c’è più buon senso in uno solo che in tutta una folla.”

Arbitro Webb, uno dei miglioi arbitri degli ultimi vent’anni
Paolo Claudio Ratti
+ posts

Torinese, laureato in giurisprudenza, mite di natura e polemista per vocazione. Amo il cinema quando cala l’oscurità, gli scalatori che salgono sui pedali e le allitterazioni che allettano gli allocchi. Scrivo, con solerte pigrizia, di sport.