L’amore vero sconfigge la morte

Quando si parla di Ulay e Marina a me scoppia il cuore.
Il loro amore folle, pieno di eccessi, di emozioni, di arte, ha portato a distruggerli, struggersi ma anche, soprattutto, a vivere.
Quando si parla di Ulay e Marina mi viene da piangere.
Perché si parla di un amore forte, pazzo, vero ma umano.
E l’umanità di questo loro sentimento sta proprio nei tradimenti di Ulay nei confronti di Marina. Costretti poi, anche per questo, a dirsi addio per evitare di sventrarsi l’anima a vicenda.
Quando si parla di Ulay e Marina io penso al loro legame viscerale, profondo, che fa quasi paura anche al solo pensiero.
Un’opera d’arte incredibile, loro due messi insieme.
Ars/Arte/Ardere/Bruciare/Spegnersi.
Di questo intero, ieri è venuta meno una metà. Ulay, pseudonimo di Frank Uwe Laysiepen si è spento all’età di 77 anni. Nato nel 1943 a Solingen, in Germania, da sempre in tumulto con le sue origini, prima, e successivamente con la sua arte si avvicina al mondo della fotografia fino ad arrivare ad essere uno dei maggiori esponenti della body art. Ed è proprio la scelta di questo percorso che, nel 1975, gli fa incontrare Marina Abramovic. Si incontrarono ad Amsterdam, scoprendo di essere nati entrambi lo stesso giorno. Eccolo li il destino travestito da una banale coincidenza. Da quel momento diventano calamita. Ma anche calamità. Perché insieme generano una forza, un’intensità, che solo un sodalizio artistico può sigillare. Insieme si fondono, si mescolano, si scontrano fisicamente nelle loro esibizioni che li vedono prima nudi, poi urlarsi contro fino a sfinirsi e poi ancora chiusi in una morsa meglio conosciuta come un bacio serrato tra i due. Nel 1980 Marina Abramovic tiene un arco teso per 4 interminabili minuti mentre il compagno Ulay tende una freccia che punta dritta al cuore. E Cos’è, se non questo, l’amore?
La dimostrazione della fiducia più cieca nell’affidare la propria vita alla persona che si ama. Ecco cosa esprimevano attraverso le loro opere: le dinamiche di un rapporto, di una relazione. Attraverso gesti estremi. Sarebbe bastato un attimo e la freccia avrebbe colpito Marina dritta al cuore.
Quando amiamo siamo noi che forniamo gli strumenti per essere feriti e lo facciamo inconsapevolmente ma totalmente.
Aprirsi all’altro, raccontare gioie, dolori, paure e dubbi ci rende fragili e indifesi. Nudi e crudi.
La bellezza di avere accanto qualcuno che sappia cose di te che neanche tu stesso avresti mai immaginato, la gratitudine di due occhi e la mano che tendiamo all’altro per percorrere la strada insieme fanno a pugni con le crepe che ogni persona ha dentro di se e che, inevitabilmente, ogni rapporto si trascina dietro. Ecco cosa rappresentava la freccia: doniamo tutto questo all’amato con la speranza che l’arco rimanga teso.

Quando si parla di Ulay e Marina penso al loro modo di dirsi addio, di mettere un punto alla loro relazione. Dopo 12 anni di simbiosi artistica e amorosa decidono di lasciarsi e di sancire la fine del loro rapporto con un’ultima performance, The Lovers: The Wall Walk in China: in novanta giorni percorrono a piedi la grande muraglia cinese partendo dai capi opposti per incontrarsi al centro e dirsi addio. In silenzio, percorrono chilometri su chilometri per finire quell’amore che li aveva resi così forti ma così deboli. Da quel momento Ulay e Marina percorrono le loro strade da soli. Ma è solo una parentesi, il loro addio. I due si ritrovano nel 2010 quando, a sorpresa Ulay si presenta al MoMa dove è in corso lo spettacolo The Artist is Present, in cui i visitatori vengono invitati a sedersi di fronte all’artista serba. Arriva il suo momento, Ulay si siede di fronte a Marina e guarda negli occhi la donna che ha amato per più di dieci anni e che amerà per sempre.

In quel silenzio, i loro occhi parlano.
Le lacrime scendono.
I due si sorridono, si scrutano, piangono, si stringono le mani.
Chissà quante cose si sono detti, quanti abbracci si sono dati.
Ulay si alza e se ne va, Marina resta seduta.
Ulay ieri è andato via per sempre.
Non ci sarà un altro colpo di scena tra di loro.
Eppure, la loro storia continuerà per sempre.
Perché l’amore vero sfida anche la morte, sopravvive attraverso l’arte e culmina con una lacrima che scende lenta dagli occhi.


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Prolissa per natura, sintetica per pigrizia. Classe 1990, laureata in Economia aziendale, indirizzo amministrazione e controllo, amante delle emozioni e di tutto ciò che è autentico. Scrivere della vita, degli sguardi e degli occhi delle persone, delle storie che appartengono al mondo è la sua priorità. Curiosa, attenta osservatrice e caparbia. Leggere, scrivere, suonare, pedalare, meditare, viaggiare e ascoltare: ecco la ricetta per la sua felicità.