La voce del mondo: la poesia

È difficile attribuire alla poesia un solo valore, è impossibile rinchiuderla in un’unica categoria, pensando che sia un’entità in sé finita e definita. I suoi confini, se ci sono, sono labili e indistinti, e si confondono con tutte le sfumature della realtà. Detta così sembra una definizione da manuale, ma la poesia rapportata alla nostra vita, si trova un po’ in tutte le cose, poiché è innanzitutto, condivisione.

Mi piace pensare che essa sia un modo di comunicare che può unire e separare, un mezzo tramite il quale si può dar voce a pensieri intimi, lontani. E forse è proprio per questo che la poesia ha attraversato, e tuttora attraversa, la storia dell’uomo. In qualsiasi epoca, con qualsiasi mezzo, la poesia si è posta come voce e terapia, in quanto nasce pensiero nudo al quale viene dato corpo attraverso la scrittura. Essa può essere cura al dolore, la voce disperata che grida aiuto e si pone come ponte tra noi e il mondo, tra la nostra sofferenza e gli altri, nella speranza che quelle parole possano trovare qualcuno. Attraverso il mezzo poetico, qualsiasi storia, emozione, tormento, diventa messaggio universale e, quasi mai, univoco.

Eppure, troppo spesso, si pensa alla poesia come un’appendice noiosa e limitata delle ore scolastiche, con gli esercizi di comprensione del testo, metrica e figure retoriche.
Certo, la poesia è prima pensiero, vissuto, poi struttura, ritmo e verso: non si può prescindere da questi elementi. Di solito ci si aspetta che le poesie contengano immagini sontuose che stimolano i sensi, oppure aforismi d’impatto che solleticano il pensiero astratto ed esprimono verità generali. In termini di qualità letteraria, una poesia dovrebbe, in teoria, essere giudicata in base a quanto sia in grado di stimolare significativamente i sensi o le facoltà di un certo numero di lettori. 

Mi sembra che la maggior parte delle persone respinga il concetto di poesia perché sono quasi a disagio con la parola stessa e soprattutto con gli stereotipi ad essa associati. Fondamentalmente, non sono del tutto sicuri di cosa sia veramente la poesia.

Non troppo tempo fa, durante le mie ore di lavoro, mi è capitato di seguire una giovane studentessa nello svolgimento di un esercizio di letteratura italiana. Si doveva prima leggere un testo poetico di Umberto Saba (Il poeta da Il Canzoniere, Trieste e una donna 1910-1912), svolgere gli esercizi e, infine, rispondere ad una domanda sul valore generale della poesia.

Io già immaginavo fiumi e fiumi di parole, invece lei mi guardò e mi disse che la poesia, in verità, non le piaceva affatto. Non le piaceva perché la trovava troppo misteriosa, poco immediata e artificiosa. Io risposi che però, la poesia non era solo quello che si vedeva e studiava sui libri di scuola, ma lei aveva le idee chiare: “Secondo me non è vero che la poesia parla a tutti”. Certamente essa può riuscire a cogliere la vastità dell’esistenza umana in una sola parola, che però racchiude in sé mondi altri, troppi significati, e per questo, rimanendo oscura e impenetrabile, corre il rischio di non essere apprezzata. Ma forse, anche il fatto di non essere compresa da tutti, fa parte dell’atto poetico in sé. 

E’ evidente, che la poesia venga percepita complicata e inaccessibile, una forma d’arte piena di pseudointellettualismo e sofismi. Ma la poesia non è necessariamente una cosa di alto livello, il contenuto dei componimenti spesso ha molto più a che fare con aspetti profondamente personali e talvolta meno che raffinati.

La poesia è evasione dalla realtà, pura immaginazione che porta a percorrere lunghi sentieri e ad esplorare la profondità della nostra anima, andando a ritroso o avanti nel tempo. Si parte sempre da un punto, astratto o concreto, purchè sia qualcosa di sentito, di forte.

La poesia, come la musica e l’arte in sua qualsiasi forma, proviene da un luogo che nessuno comanda. Allora può diventare poesia un po’ d’ombra nella calura estiva, il sorriso di qualcuno che amiamo, il concerto che diventa abbraccio, il tramonto dietro gli alberi, il dolore di una perdita, una malinconia nera e profonda. Più semplicemente, la vita comune che viviamo tutti i giorni.

Il solo fatto di stare al mondo è un atto poetico, ma è necessario compiere lo sforzo di vedere noi e il mondo in modo diverso, pensare alla poesia come ad una voce e poi, guardare alla nostra esistenza, alle nostre azioni “poeticamente”.

“E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare.”
(G. Ungaretti, 1917)

Maria Letizia Stancati
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Nata a Cosenza nel 1994, vive da sette anni a Roma. Laureata in Filologia Moderna, attualmente tenta di rendere produttiva la sua laurea seguendo un Master e facendo tutti i lavori possibili.
Ama la musica, viaggiare, la vita la coinvolge totalmente e vorrebbe scoprire il mondo.
La sua passione più longeva è sicuramente la lettura, il primo libro che ha letto è “Giovanna nel Medioevo” e ha pianto senza ritegno dopo aver terminato “La piccola Principessa”.
Incapace e negata per ogni tipo di sport (ma è fiera di aver praticato basket per una settimana), ama correre con le cuffie nelle orecchie e camminare per tutta Roma.
Il suo gruppo preferito sono gli Oasis, e mentre spera che tornino insieme, immagina sempre come sarebbe la sua vita se la smettesse di sognare ad occhi aperti.