L’amore per la poesia di ogni epoca nelle parole di Mara Sabia
Un gruppo di giovani sognatori che, di nascosto, fantasticava con le parole, le leggeva, le sceneggiava. Si esercitavano sul filo dell’improvvisazione, folgorati da un professore che sbeffeggiava il nozionismo dei libri accademici e li invitava a catturare il tempo che fugge. Poeticherie: una definizione che può sembrare offensiva, ma che in realtà nascondeva il desiderio di spezzare la monotonia e la grettezza di un college poco indulgente con gli irregolari e i battitori liberi. John Keating e i ragazzi de La setta dei poeti estinti: un’intesa riassunta dalla sequenza finale de L’attimo fuggente, con i ragazzi che si congedano dal loro professore recitando una poesia di Walt Whitman in piedi sui banchi. Il film di Peter Weir non è soltanto un apologo sulla libertà di pensiero: è soprattutto un invito a cercare la poesia, intesa come manifestazione di bellezza che trascende i confini della letteratura.
Ora, a pensarci bene, il gioco ha preso un po’ troppo la mano: negli ultimi anni, la poesia è diventata materia per molteplici e insospettabili cantori, che si fregiano di questo titolo soltanto perché abili a scegliere il momento giusto per andare a capo. Per fortuna, c’è chi resiste alle mode e alle semplificazioni, senza per questo rinunciare ad affacciarsi al presente. Così si spiega il grande successo de La setta dei poeti estinti, un gruppo di cultori della poesia e della letteratura di ogni epoca che, tra dirette sui social network e letture dal vivo, ha raggiunto in sei anni di vita numeri davvero sorprendenti: 173mila seguaci su Instagram, 87mila contatti su Facebook, compresi tanti giovani che hanno scoperto versi celebri e autori spesso dimenticati. Dal 2016 fa parte della Setta anche Mara Sabia, una vita spesa in Basilicata prima di mettere radici (e trovare l’amore) a Roma, quartiere Garbatella.
Mara, raccontaci come è nata La setta dei poeti estinti.
Questo progetto di divulgazione letteraria è nato nel 2014 grazie a Emilio Fabio Torsello, che ha intuito le potenzialità dei social network come veicolo di propagazione e diffusione della poesia. Dopo una buona accoglienza su Facebook, alla fine del 2015 io ed Emilio abbiamo pensato che questo contenitore di poesia dovesse uscire dai confini virtuali e arrivare nei luoghi di cultura. In questo modo, abbiamo cominciato a promuovere una serie di eventi, che inizialmente si svolgevano nelle piccole librerie indipendenti e nei parchi di Roma, a cui il pubblico ha partecipato con grande interesse. Da qui la volontà di portare la poesia in giro per l’Italia, in luoghi di grande fascino come la certosa di San Lorenzo a Padula, il castello federiciano di Lagopesole, il castello di Santa Severa e l’auditorium di Mecenate. Per la verità, erano previsti altri eventi nella Capitale, ma la pandemia ci ha costretto ad annullare questi appuntamenti.
Qual è il segreto del vostro successo?
Credo che, soprattutto durante i mesi del confinamento sanitario, il pubblico abbia cercato una medicina per non impazzire. Con le nostre dirette quotidiane, dedicate ai grandi classici della letteratura italiana, il pubblico ha scoperto una bolla in cui trovare rifugio dalle notizie drammatiche che arrivavano ogni giorno. Abbiamo coinvolto scrittori, traduttori, editori e docenti universitari nelle nostre dirette quotidiane, che sono proseguite anche in queste settimane (Emilio e Mara hanno recentemente ospitato Giulio Ferroni per la presentazione del suo saggio L’Italia di Dante, pubblicato da La Nave di Teseo, ndr). Con il nostro lavoro quotidiano, vogliamo dimostrare che la poesia è qualcosa che serve a tutti, perché la parola poetica è una parola che salva: ne hanno dato piena dimostrazione poeti come Alda Merini, Raymond Carver, Charles Bukowski. In secondo luogo, abbiamo sentito il dovere di trasformare un momento di crisi in opportunità, portando i nostri eventi sul web e allargando così la nostra rete di contatti.
Grazie alla vostra costante presenza sui social, avete fatto conoscere al pubblico tanti autori dimenticati o poco noti. Tuttavia, sappiamo che esiste un enorme abisso tra i numeri della rete e la realtà di un mercato editoriale assai poco sensibile al richiamo della poesia. Come ti spieghi questo divario, che si traduce poi in vendite sostanzialmente modeste, nonostante l’impegno delle piccole case editrici?
Il nostro successo si spiega anzitutto con i grandi consensi che abbiamo riscosso in rete: in particolare, abbiamo registrato molte interazioni su Instagram che, come sapete, è frequentato principalmente da giovani. Tra di essi, tanti non possono acquistare libri e pertanto vogliamo arrivare anche a loro. In ogni caso, c’è una fetta di pubblico che ama la poesia e chiede di conoscere autori e titoli delle raccolte che presentiamo, alcune delle quali ormai introvabili. Inoltre, mi conforta che tante persone ci seguano dall’estero: penso ai tanti argentini di origini italiane che, attraverso la nostra pagina, ritrovano la lingua e la letteratura paterna. Quanto all’editoria, devo dire che Mondadori sta portando avanti una serie di iniziative apprezzabili, per esempio la riproposizione integrale dell’opera di Rocco Scotellaro. Tuttavia, altre case editrici che un tempo avevano consacrato una parte consistente del loro catalogo alla poesia si sono mosse in direzione opposta. Questo perché – è evidente – la poesia è poco remunerativa e non ha un grosso mercato. Eppure, proprio per la sua brevità, si presta molto meglio ai social dei testi in prosa, forse perché la poesia è una spremuta di sentimenti e di parole.
Da quando avete presentato le poesie di autori minori o trascurati a lungo, è cambiata a tuo avviso la strategia seguita dalle case editrici? Pensi che possano trovare spazio voci diverse da quelle di Gio Evan e Guido Catalano, i poeti che hanno venduto di più negli ultimi anni?
So per certo che alcuni editori hanno cominciato a ristampare le opere di autori che sono transitati dalla nostra pagina: è il caso del Canzoniere della morte di Salvatore Toma. Questo episodio conferma che c’è la volontà da parte del pubblico di riscoprire una poesia di grande spessore. D’altro canto, bisogna dire che una certa poesia è figlia dei tempi che viviamo: assistiamo a un consumo superficiale delle parole e dei sentimenti che spinge tante persone a cimentarsi con i versi. Per quanto sia giusto che chiunque scriva, a un certo punto bisogna avere la capacità di valutare la bontà del lavoro svolto prima di decidere se pubblicarlo o meno. Il nostro obiettivo è quello di avvicinare il pubblico, a cominciare dalle generazioni più giovani, a un canone poetico più ricercato.
Secondo te, è necessaria una nuova alfabetizzazione letteraria per riavvicinare le persone alla tradizione letteraria italiana, superando i confini imposti dalle antologie scolastiche?
Sì. Dal canto mio, penso di essere un’eccezione perché ai ragazzi propongo autori del secondo Novecento come Pasolini e Merini. Avverto senz’altro la necessità di ampliare le proposte delle antologie scolastiche, che comunque propongono i testi e gli autori imprescindibili. In ogni caso, tocca a noi insegnanti arricchire questa proposta affinché i ragazzi imparino ad analizzare con occhio critico la letteratura contemporanea, fornendo loro gli strumenti necessari per interpretare ciò che leggono. Tutto sommato, si tratta di trasmettere un gusto e una sensibilità agli studenti, anche quando ti trovi alle prese con i capisaldi della letteratura: provo questa sensazione quando leggo in classe Alla sera di Ugo Foscolo. Gli adolescenti si identificano facilmente nell’ultimo verso («dorme quello spirto guerrier ch’entro mi rugge»), che descrive alla perfezione i tormenti che agitano il loro animo e che, alla fine della giornata, pian piano si assopiscono.
Parliamo della tua ultima antologia poetica, Le strade del bacio, pubblicata da La Vita Felice.
La mia nuova antologia è arrivata in libreria dopo un intenso lavoro di revisione, che ne ha ritardato la pubblicazione di circa un anno. Il tema centrale è l’amore, vissuto però in maniera gioiosa, per riprendere le parole spese nella prefazione da Giuseppe Lupo. Nel mio libro non troverete atmosfere cupe: al massimo qualche concessione alla malinconia, che tuttavia lascia intatta la sensazione di gioia che si può percepire nei miei testi. Questo volumetto vuole essere una folata di vento fresco in vista dei mesi duri che ci aspettano. Mi auguro che i lettori possano apprezzare queste parole d’amore così leggere e così dense, che convivono con la descrizione dei paesaggi della Basilicata e con i ritratti di poeti che ho conosciuto personalmente. Ho un solo motivo di rammarico: la rinuncia alla presentazione del mio libro nelle fiere previste per questo autunno.
Quattro anni fa hai preso la decisione di lasciare il tuo paese d’origine, Avigliano, per andare a vivere nella Capitale. Come vivi il tuo rapporto a distanza con la Basilicata?
Dentro di me coesistono due patrie: una di nascita e una d’elezione. Questo significa essere eternamente divisi e combattuti: così non ti trovi mai in un solo posto. Tuttavia, ho preso la decisione di andare via con serenità, senza ansie né sensi di colpa, assumendomi tutte le responsabilità del caso, perché spesso capita di trovarsi da soli in un luogo che non conosci. Posso solo aggiungere che allargare i propri orizzonti non è mai sbagliato.
Penso di avere tutte le caratteristiche dei lucani e coltivo un amore profondo per la mia terra, per quanto talvolta sia cattiva. Da una parte, sono grata alla Basilicata perché mi ha trasmesso valori a cui tengo particolarmente, su tutti la tenacia e la dedizione al lavoro. D’altro canto, però, sono molto arrabbiata con la mia regione perché qui ho affrontato tutto il mio percorso di formazione, ma non mi ha dato l’opportunità di restare. La patria che ho scelto, Roma, ha tanti aspetti contraddittori ma è senz’altro molto bella: anche a distanza di tanti anni, riesce davvero a rapirmi.
Un’ultima domanda: qual è il poeta o la corrente letteraria che tu ed Emilio Torsello ci farete scoprire sulla pagina della Setta?
In questo momento, non c’è una direzione precisa da seguire: la scelta di un poeta avviene spesso in maniera casuale. Di sicuro, vorremmo continuare a navigare tra i classici, privilegiando le opere di Dante.
Nonostante sia cresciuto nell'era del digitale, si professa analogico e nostalmalinconico. Cultore di Springsteen, dei saggi storici e delle gassose, ha scoperto Venti in piena pandemia: amore a prima vista. Ricambiato, una volta tanto.