Erasmo da Rotterdam, nel 1509, scrisse “Elogio della follia”. Pur non potendomi paragonare a lui, io oggi vi propongo un elogio della noia. In queste settimane, siamo tutti stati chiamati a dare il nostro contributo per cercare di arginare il COVID-19, lo spettro che sta letteralmente perseguitando le nostre vite. Come ogni chiamata alle armi che si rispetti, è stata repentina e ci ha colto impreparati sia da un punto di vista organizzativo, sia da un punto di vista psicologico. In soldoni, escluso chi si trova in trincea a combattere con ben più pesanti armi, noi, la fanteria che accorre in aiuto, ci troviamo armati di noia. Ebbene sì: la nostra arma contro il Coronavirus è il grado di padronanza della noia che siamo in grado di raggiungere. Molti di noi, me compresa, si sono trovati, dall’oggi al domani, svestiti dei ritmi frenetici che scandiscono il quotidiano, della routine, delle scadenze e delle incombenze padrone indiscusse della vita moderna. Come ci si comporta, allora, quando un giorno è identico all’altro, quando si ha l’impressione di essere entrati in una bolla spazio temporale priva dei termini “domani” e “ieri”, dove “prima” e “dopo” si confondono perché privi di un “rispetto a cosa”? Si deve letteralmente abbracciare la noia per rivalutarla. In realtà siamo noi, uomini abituati alla perenne connessione tra le solitudini, ad aver dimenticato l’importanza dell’arte di annoiarsi. Per i nostri padri latini, l’otium era il prezioso tempo ritagliato per dedicarsi allo studio e alla cura dell’equilibrio psicofisico; il tempo, insomma, da dedicare a se stessi. Un altro dei mali del nostro tempo è quello di rifiutare tutto ciò che proviene da antica memoria (salvo poi fidarsi ciecamente delle bufale che girano sul web) e, quindi, arriva in nostro aiuto la più moderna scienza: diversi studi, infatti, hanno confermato l’effetto benefico della noia sul corpo e sulla mente umana. Ne parla in questi termini Sara Di Croce (Psicoterapeuta del Centro Medico Santagostino, ndr) nel suo articolo intitolato, non a caso, “Elogio della noia”: la noia permette al cervello, sottrattosi a stimoli e compiti specifici, di concentrare la sua attività elettrica nelle zone deputate alla coscienza di sé e all’elaborazione della propria storia personale, in un flusso di coscienza autoriferita, definita dai ricercatori “modalità di default”. In poche parole, annoiandoci, siamo costretti ad affrontare noi stessi e i nostri fantasmi. Se, posta in questi termini, la noia potrebbe risultare scoraggiante, basti pensare che, nello studio condotto dalla University of Central Lancashire, le persone sottoposte in precedenza a una mansione “ripetitiva”, e quindi noiosa, sono risultate poi le più creative in merito all’elencazione dei possibili usi di una tazza di plastica. Nulla a che vedere col caso quanto più alla facilità con cui, dopo un periodo di noia, si ritiene entusiasmante un qualsiasi stimolo esterno, ivi compreso quello di immaginare come usare una banalissima tazza. In questo periodo così difficile, credo che la noia possa e debba rivestire esattamente i compiti che, in qualche modo, emergono dalla tradizione e dagli studi: dobbiamo sfruttare questo isolamento forzato per affrontare noi stessi e per ricaricare le energie; dobbiamo prendere la ricorsa, soffrendo oggi per balzare domani. La sensazione di vuoto che ha investito e investe molti di noi dipende dall’abitudine, radicata, di definirci sulla base delle vittorie quotidiane, comprese quelle lavorative. Senza quelle vittorie, senza l’agone, senza l’adrenalina ma soprattutto senza il nostro “ruolo” nella società ci sentiamo persi, avviliti, inutili. La noia ci consente invece di capire che, se tutti i giorni in campo scende “il nostro ruolo”, tutte le sere, invece, rincasa la persona, una persona a cui non ci dedichiamo mai e che, a sua volta, non ha mai abbastanza tempo da dedicare agli altri. La noia ci denuda letteralmente e ci permette di comprendere chi siamo, a prescindere dal nostro lavoro, dal complimento ricevuto dal capo per il bel progetto o dal boccone amaro ingoiato per un rimprovero -forse- immeritato. La noia, semplicemente, fa rimanere in piedi soltanto noi, nella nostra essenza più vera. Ci sottrae al giudizio degli altri e ci sottopone al nostro. Approfittare del disastro che ci circonda per affrontare noi stessi, per “rivendicarci” alla maniera di Seneca, non solo ci permette di colmare il vuoto umano che ci accompagna nel tran-tran quotidiano, ma ci consentirà, in un futuro che mi auguro prossimo, di osservare con occhi diversi la nostra vita. Forse, non vedremo più “sfide” da vincere o da perdere (con il bagaglio emotivo che questa percezione comporta) ma occasioni da cogliere oppure da scartare a favore di altre più allettanti. Aver finalmente stretto la mano al nostro “io” in un periodo in cui non si può stringere la mano agli altri, potrebbe permetterci anche di capire finalmente quello che vogliamo, qual è il nostro obiettivo e come intendiamo raggiungerlo. In prima persona, sto capendo che accostare la noia al colore “grigio” è quanto di più sbagliato ci sia. La noia prende i colori che intendiamo darle. Può colorarsi di un libro che non abbiamo mai avuto il tempo di leggere, di un film che merita un approfondimento ulteriore, del riposo a cui spesso rinunciamo per essere più competitivi. La noia ci permette di riflettere anche sui rapporti umani, su quelli che vanno mantenuti e su quelli che vanno recisi perché tossici. La noia ci sta salvando dal COVID-19 (perché rimanere a casa è l’unica soluzione) ma penso proprio ci salverà anche dalle menzogne che ci raccontiamo pur di continuare a “vivere in pace”. La noia ci salverà, soprattutto, da noi stessi.
Articolo già pubblicato sul Quotidiano del Sud – l’Altravoce dell’Italia di lunedì 06/04/2020
“Acqua cheta rovina i ponti”.
Nessuna massima potrebbe riassumermi meglio. Sono irrequieta per natura, di quell’irrequietezza che non si sfoga in una vita di manifesti eccessi quanto in una di perenne flusso ideativo. Insomma: mi chiamo Angela ho 26 anni e non sto ferma un attimo, anche quando rimango seduta per ore a fissare un quadro. Un’altra cosa che penso possa valere la pena sapere su di me è che non sono mai così sincera come quando scrivo. Ecco, la scrittura è il mio personalissimo “vindica te tibi”.