I benefici delle artiterapie per educare, prevenire, curare e migliorare la vita
“Il segreto del canto risiede tra la vibrazione della voce di chi canta e il battito del cuore di chi ascolta”: con queste parole Khalil Gibran sembra descrivere con maestria e attenzione il processo musicoterapeutico alla perfezione, scopriamo insieme meglio di cosa stiamo parlando!
La musicoterapia rientra tra le artiterapie, che oggi sono uno strumento sempre più diffuso (a volte anche abusato, se non utilizzato da professionisti esperti e con criterio) in vari ambienti, spesso utilizzato per il trattamento delle demenze. Accanto agli approcci farmacologici per il trattamento delle demenze, esistono infatti quelli non farmacologi, una vasta classe di approcci riabilitativi che ha l’obiettivo di rallentare il decorso della malattia e di migliorare la qualità di vita dei pazienti, il cui impiego trova sempre maggiore giustificazione nelle più recenti scoperte scientifiche. Rientra tra questi l’uso delle artiterapie.
Queste sono l’utilizzo di una forma artistica particolare per educare, prevenire, curare o migliorare la vita di un soggetto, in associazione o in alternativa a terapie tradizionali farmacologiche e/o psicologiche. L’arte viene intesa quindi come mediatore per creare un canale di comunicazione non verbale attraverso il quale costruire una relazione umana terapeutica, motivante, in grado di restituire senso e dignità ai pazienti. Si prendono in considerazione diverse forme artistiche come pittura, scrittura, teatro e, naturalmente, la musica che permette un rilassamento fisico e mentale. L’esempio più conosciuto dei suoi effetti è il cosiddetto “effetto Mozart”, secondo cui l’ascolto della musica di Mozart aumenterebbe temporaneamente le capacità spazio-temporali. Gordon Shaw nel 2003 ha ipotizzato che questo effetto sia stato creato in quanto Mozart ha composto la sua musica nella gioventù, età in cui le capacità spazio-temporali sono al loro massimo e la corteccia cerebrale è nel pieno dell’evoluzione. Nella musicoterapia si utilizza la musica come un vero e proprio strumento: non insegna una particolare abilità tecnica, come potrebbe sembrare a chi vi ci si approccia per la prima volta, ma permette di trovare nell’arte un punto di incontro con gli altri, una sorta di zona di sviluppo prossimale che aiuti l’individuo ad entrare in contatto con sé, con le sue potenzialità e, attraverso le note, con il mondo che lo circonda. Scrive infatti Gettings nel 1966: “l’arte ha valore per la sua capacità di perfezionare la mente e la sensibilità più che per i suoi prodotti finali”.
La musicoterapia è uno strumento straordinario che permette di creare tra chi dona e chi riceve musica un vero e proprio dialogo sonoro, attraverso cui l’esperto cerca di comunicare il più possibile tranquillità. Chi fornisce la musica attraverso ritmo e note tenterà di creare uno spazio comune per sé e il paziente, in cui il dialogo sonoro diventa possibile. Diversi studi hanno dimostrato che la musica protegge dal deterioramento cognitivo nelle demenze, anche in quelle fasi più gravi e una prova è data dal fatto che nei pazienti con demenza la memoria musicale è risparmiata (Cuddy e Duffin, 2005). Per questo motivo l’ascolto della musica appare oggi una tecnica efficace nella demenza, per migliorare lo stato di salute dei malati e favorire quello dei caregiver.
I fondamenti teorici alla base di un effetto della musica sulla salute dell’individuo risiedono nelle neuroscienze che, sulla base di un’ampia letteratura, ci consentono oggi di affermare che la musica è biologicamente fondata. Possiamo perciò dire che gli effetti della musica positivo coprono un ampio spettro: a livello biologico, in quanto ha un effetto protettivo rispetto al deterioramento cognitivo (Verghese et al., 2003); a livello comportamentale e psicologico, per quanto riguarda il tono dell’umore; a livello sociale in quanto aumenta la socializzazione, l’interazione e la partecipazione (Pollak & Namazi, 1992; Wall & Duffy, 2010; Spiro, 2010) e del benessere percepito visto come riduzione dello stress (Khun, 2002; Suzuki et al., 2004).
In questo quadro, la musica fornisce un linguaggio alternativo, rispetto a quello parlato, ed è proprio per questo che è in grado di creare dei canali di comunicazione tra chi suona e chi ascolta: soltanto in questi canali, luoghi privilegiati, chi suona può entrare in contatto con l’altro in un modo alternativo e può comunicargli emozioni precise, benefiche per la sua psicologia. La speranza per il futuro è che si tenga sempre più conto di questi nuovi strumenti che si hanno a disposizione, evitando di affidarsi esclusivamente a terapie farmacologiche, che sicuramente vanno seguite secondo precise indicazioni mediche, ma a volte possono essere supportare anche da mezzi alternativi.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni