Non chiedetemi se sono appassionato di musica, se amo mettere le cuffiette o le Airpods nelle orecchie o acquistare un cd “alla vecchia maniera”, perché la risposta sarebbe sempre negativa. Sono quel tipo di ventottenne atipico che è fortemente incuriosito dal mondo della musica, affascinato dalle sue note e parole, ma che non è alla ricerca costante della sua presenza nella propria vita. Sì, sono proprio atipico.
I miei genitori me lo dicono sempre, non sono nato nell’epoca giusta e nella città corretta. Del resto sono uno scoordinato ballerino con la voglia irrefrenabile di muovermi a tempo di musica. Perciò oggi è uno di quei giorni in cui sento di dover festeggiare, perché nel lontano 1889, in questa stessa giornata, veniva installato il primo Jukebox della storia nella calda città di San Francisco, California.
Potete anche solo immaginare come questa nuova invenzione abbia sconvolto le vite dei giovani, e non solo, nella fine del XIX secolo?
La musica avrebbe iniziato ad essere fruibile per tutti, in cambio di una moneta, senza dover far riferimento ad un pesante grammofono o ad un vinile 78 giri.
Due sono gli uomini da ringraziare per questo cambio generazionale, Louis Glass e William Arnold, che hanno permesso l’ascolto di un brano del cuore a soli 5 centesimi. Fred Mergenthaler acquista il primo Jukebox e organizza un vero e proprio evento per il funzionamento di questa grandiosa invenzione. Il suo locale, il Palais Royal Saloon, per via del gran numero di clienti, crescerà a dismisura, rendendo ricco il proprietario nel giro di pochissimi mesi.
La storia della musica era cambiata. Il punto di ritrovo dei giovani era ormai intorno a questo “aggeggio” che risuonava e riempiva le sale da ballo e pian piano anche i più piccoli bar. Del resto, poi, è sempre stato uno strumento affascinante, che abbiamo continuato ad amare non solo per il suo grande trasporto, ma anche perché il nostro amato Arthur Fonzarelli, in arte Fonzie, che non poteva vivere senza in quei “Happy days”.
Ma permettetemi di rivivere questo cambiamento fino ad arrivare ai giorni nostri, perché la musica ed i suoi “erogatori” hanno sempre cambiato forma, dimensione ed utilità, lasciandomi anche abbastanza sbalordito in alcuni passaggi. Cambiare, tante volte, non è sempre giusto sintomo di miglioramento.
Così, nei primi anni XX secolo, la radio entra nelle nostre frequenze e l’invenzione Marconiana prende piede fortemente ovunque nel mondo; attenzione però, la musica fa capolino, senza avere scelta libera del brano come per il Jukebox e bisognava sottostare alla “programmazione” radiofonica, fatta maggiormente poi di notizie ed informazioni.
Facciamo un’ulteriore salto temporale ed arriviamo al 1962, anno in cui la Philips lancia sul mercato le amatissime Compact Cassette. Parliamo di quelle che abbiamo sempre amato, che abbiamo riavvolto centinaia di volte, anzi oserei dire migliaia, con le penne e le matite a nostra disposizione. Sono quelle che abbiamo inserito nello stereo dei nostri fratelli, quelle che Marty McFly consumava giornalmente nel suo “ritorno al futuro” e che Willy, il principe di Bel Air, portava sulla spalla per raccontare che “questa è la maxi storia di come la –nostra- vita è cambiata, capovolta, sottosopra sia finita”. Ci hanno fatto sognare e, potendo portarle in giro, hanno sempre più facilitato l’ascolto della musica che preferivamo.
Per poi arrivare al 1979, anno del Walkman. La Sony, con le sue cuffie audio, cambia nuovamente la storia della musica, facendoci sognare, proprio come ne “Il tempo delle mele”, dandoci modo, ovunque, di mettere le cuffie in testa e godere di un’altra dimensione.
Ma sapete, questo processo, chiamato “disruption”, con cui una nuova “invenzione” sostituisce e/o migliora la precedente, non sempre ha esito immediatamente positivo. Le cassette, infatti, restano le più utilizzate fino alla fine degli anni 90, anche se i CD Audio erano entrati nel mercato nei primi anni 80. Incredibile il cambio repentino nei primi anni 2000, con il lettore CD portatile ed i file mp3, che permettono l’inserimento dei file multimediali e la scelta di una pluralità di canzoni, senza alcun limite di spazio.
Infine, gli ultimi due passaggi sono collegabili a questi ultimi anni, perché dal file digitale siamo passati al mondo Web. Youtube e molti altri siti hanno permesso la fruizione musicale gratuita, con un collegamento a internet, fino ad arrivare alle App sui nostri Smartphone, come Spotify.
È chiaro il modo in cui tutto sia cambiato e di come l’esperienza musicale abbia ormai un senso differente dal passato. Preferiamo mettere la musica che amiamo e camminare per strada canticchiando i nostri brani preferiti nella nostra testa; amiamo correre e allenarci con la musica che ci risuona nelle orecchie; amiamo restare soli e ascoltare ciò che preferiamo.
Ed è qui che torno ad essere d’accordo con i miei genitori: io sono di un’altra epoca. Io sono di quell’epoca in cui un unico strumento diveniva elemento, scusate il neologismo, “agglomeratore” per una pluralità di persone. Si sceglieva di condividere la musica, la danza, la gioia, senza aver bisogno di play-list già precostituite per uno specifico evento. La personalità di ognuno poteva fuoriuscire e poteva portare con sé il vero senso della condivisone, al contrario dell’egoismo innato di oggi.
Permettetemi perciò di cercare di svegliare le nostre coscienze e ringraziare, con più di un secolo di differenza, chi voleva rendere la musica, una musica universale; capace non solo di arrivare alle orecchie delle persone, ma al cuore di tutti, nella maniera più semplice che esista: condividendo.
Un ragazzo quasi trentenne, dal sapore adolescenziale ed una vita piena di sogni e immaginazione. Concretezza ritrovata negli studi in legge, ma stemperati dalla voglia di esplorare il mondo del marketing e dei social media. Instagram addicted, produttore convulsivo di storie, grande ascoltatore ma ancor di più, grande parlatore. Cresciuto a libri classici e America's Next Top Model, appassionato di Harry Potter e fan sfegatato dei consigli della Volpe del Piccolo Principe. È un mix tra sarcasmo e serietà, tanto da non essere sicuri di quello che stia succedendo. Ha studiato e lavorato negli Stati Uniti e sottolinea, sempre, che non vedeva l'ora di tornare in Italia.