Di Frannie
Secondo una ricerca effettuata da Perform Group l’anno scorso, il basket è solo l’ottavo sport più seguito in Italia. Forse perché è troppo “americano” per i gusti italiani oppure perché il Bel Paese, secondo il luogo comune, è semplicemente calcio centrico e lascia solo le briciole agli altri sport.
Tuttavia, anche chi non ha mai seguito la pallacanestro, conosce la celeberrima NBA e i successi del campionissimo Michael Jordan. Perciò quando si parla di un atleta italiano che gioca nella massima serie statunitense, anche chi non conosce neppure le regole del basket ha ben chiaro che si tratta di “uno bravo”.
Marco Belinelli gioca con i San Antonio Spurs nel ruolo di guardia e il 15 giugno è diventato il primo italiano ad aver vinto il titolo NBA. Un sogno che Marco aveva sin da bambino, quando aveva iniziato a palleggiare in un paesino in provincia di Bologna, dove è cresciuto e dove tuttora vive la sua famiglia.
“Sinceramente non sto ancora realizzando cosa sia successo. So solo che è successa una cosa importante per me, […] per tutta l’Italia” ha dichiarato Marco al Nike Stadium di Foro Bonaparte a Milano, appena atterrato dagli Stati Uniti.
Questo è il trionfo di un ragazzo partito da San Giovanni in Persiceto che nel 2003, appena sedicenne, si svegliava nel cuore della notte per seguire la NBA. Dieci anni dopo, lui è dall’altra parte dello schermo a giocare con Parker e Ginobili (che gli parla in italiano, così gli altri non capiscono) e a portare quel piccolo paesino vicino
Bologna sul tetto del mondo. Belinelli è molto amato in America (e non solo dalla comunità italo-americana, che tuttavia ha un debole particolare per lui, Bargnani e Galinelli), forse perché la sua avventura rappresenta “il sogno americano” ma alla fine il suo sogno è più italiano che mai perché come lui stesso ha scritto sul suo profilo Twitter: “Ho vissuto ogni momento solo per questo”.
L’#Instaglorious award di questo mese è suo per la caparbietà con cui ha seguito il suo sogno, per i sacrifici che ha fatto decidendo di andare dall’altra parte dell’oceano e perché ha portato il basket italiano dove non era mai giunto prima.