Quando la malattia può prendersi tutto, tranne la dignità.
Sono passati tredici anni da quando, il 20 dicembre 2006, si è spento Piergiorgio Welby.
Era affetto da distrofia fascioscapolomerale; una malattia gravissima, degenerativa e a lungo andare fatale, che lo costringeva all’immobilità e all’uso di un respiratore automatico.
Sono passati tredici anni, ma l’ordinamento italiano non prevede ancora la tutela di quella che è stata definita la volontà “chiara, decisa e non equivocabile” di un paziente “perfettamente in grado di intendere e volere e di esprimersi” e “pienamente consapevole della conseguenza del sopraggiungere della morte”.
Lo dichiara l’Ordine dei Medici di Cremona che ha sottoposto per primo a procedimento il dott. Riccio, l’anestesista che ha sedato Welby, aiutandolo a compiere la sua volontà di morire.
Piergiorgio Welby si era persino rivolto al Presidente della Repubblica per rivendicare il suo diritto ad una morte dignitosa a casa propria, circondato dai suoi affetti.
Il dottor Riccio è stato assolto; sia dall’Ordine dei Medici che dalla Procura della Repubblica hanno concluso che la somministrazione del sedativo non è direttamente collegata alla morte, che invece è da implicare dalla grave patologia di cui Welby era affetto.
Entrambi i processi sono stati archiviati alla fine.
Il diritto del paziente di decidere della propria morte rimase però disatteso, anche se il giudice per l’udienza preliminare di Roma evidenziò che secondo l’ordinamento italiano “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
L’eutanasia è quindi ancora “peccato”.
Ne sa qualcosa Marco Cappato, attivista dei radicali, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, promotore del Congresso mondiale per la libertà di ricerca e della campagna di Eutanasia Legale, come dice la sua biografia su www.marcocappato.it.
Cappato è indagato per aver aiutato Dj Fabo a raggiungere la clinica in Svizzera dove ha potuto sottoporsi al suicidio assistito.
Le condizioni di salute di Fabo non permettevano quanto avvenuto con Piergiorgio Welby, in quanto la sua condizione non era dovuta ad una patologia degenerativa, ma alle conseguenze di un gravissimo incidente stradale che lo ha reso paraplegico, quindi incapace di muoversi, e cieco.
Grazie a questa vicenda, in una recente sentenza, la corte costituzionale ha stabilito che non è punibile “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio di un paziente affetto da una patologia irreversibile che gli causi sofferenze intollerabili, tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale ma in grado di prendere decisioni consapevoli.”
Dunque chi aiuta qualcuno a praticare il suicidio assistito non è più punibile, ma la morte alle proprie condizioni continua a non essere un diritto degno di tutela.
Marco Cappato durante un’udienza ha dichiarato “Piuttosto che essere assolto per un aiuto giudicato irrilevante, mentre è stato determinante, preferirei essere condannato. Altro sarebbe essere assolto per incostituzionalità del reato. Perché altrimenti si accetterebbe che solo chi è in grado di raggiungere la Svizzera può essere libero di scegliere”.
La battaglia per l’eutanasia si gioca tutta sulla libertà di scelta; una libertà che in Italia viene sistematicamente negata e che costringe così degli esseri umani spezzati da una patologia o dalle conseguenze di un grave incidente, ad intraprendere il viaggio della vita per ottenere quello che desiderano di più, la morte.
In Svizzera, infatti, il suicidio assistito è perfettamente legale, strettamente regolamentato ed applicato attraverso il controllo di un medico. Il paziente viene messo nelle condizioni di autosomministrarsi il farmaco definitivo, senza l’ausilio di terzi.
Per rivendicare la propria dignità, al di là della propria condizione fisica, bisogna quindi espatriare.
L’Associazione “Dignitas – Vivere degnamente – Morire degnamente”, che si prefigge di assicurare ai suoi membri una vita ed una morte dignitose[1], ha effettuato uno studio su quanti pazienti italiani hanno scelto di rivolgersi alle cliniche da loro gestite.
Dal gennaio 2001 al dicembre 2017 sono state 110 le persone che si sono rivolte a Dignitas per un suicidio assistito. Ognuna di quelle persone, con il suo carico di sofferenze fisiche e disperazioni, ha dovuto lasciare la propria casa e molti degli affetti, per poter affrontare in maniera dignitosa l’atto conclusivo della loro vita.
In totale, da quando ha aperto nel 1998 fino al settembre dello scorso anno, ha seguito 2550 casi di suicidio assistito di pazienti provenienti da diversi paesi[2].
Possiamo dirci un paese civile, evoluto, democratico se una persona che ha davanti un’esistenza piena di sofferenza; dolore fisico; immobilità magari; totale dipendenza dalle altrui cure per alimentarsi o per andare in bagno; incapacità di controllare la deglutizione o la respirazione, ma con le facoltà mentali intatte viene privato della capacità di decidere?
A mio avviso, NO DI CERTO.
Dominique Velati, militante del partito radicale ed affetta da un tumore incurabile ha rilasciato un’intervista al Fatto Quotidiano, nel dicembre del 2015, dove parlava della sua scelta di andare a morire in Svizzera: “Per me ci vuole più coraggio ad affrontare la malattia ed a fare la chemio. E’ una lotta impari. [In riferimento all’eutanasia n.d.r] Parliamone! La vostra vita vi appartiene e quindi anche la morte. Perché averne paura?”[3].
La nostra vita ci appartiene.
E’ l’unica cosa che ci appartiene davvero e, quando tutti gli elementi che per definizione delineano un’esistenza dignitosa vengono a mancare, abbiamo il diritto di scegliere se continuare comunque a viverla o se cessarla, mettendo così un freno definitivo alle sofferenze.
E’ la facoltà di scelta che ci rende liberi; se permettiamo che ci privino del diritto alla scelta, gli stiamo concedendo di privarci di tutto. Rivendichiamo sempre il diritto di poter scegliere.
[1] http://www.dignitas.ch/index.php?option=com_content&view=article&id=4&Itemid=44&lang=it
[2] https://www.truenumbers.it/quanti-suicidi-assistiti/
[3] https://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/12/19/eutanasia-domani-vado-a-morire-in-svizzera-prima-che-il-male-mi-divori/454768/
Assistente sociale, sognatrice incallita, idealista per nascita ed irriverente per vocazione. Ama leggere, guardare le maratone di Mentana su la7, i telefilm, il cinema, le arance amare e la politica. Dai posteri verrà ricordata per l'autoironia e la propensione alle battute a doppio senso.