IL QUANTITATIVE EASING

Di Marinella Amatoqe1

Negli ultimi mesi la parola d’ordine sui giornali economici è stata “Quantitative Easing”, abbreviato QE, perché si sa, le sigle ci piacciono tanto, meglio ancora se di intraducibili termini inglesi.
In questo numero degli Appunti di Economia, cercheremo di capire cosa sia il QE e quali possano essere i suoi effetti.
Il Quantitative Easing, tradotto con “Alleggerimento Quantitativo”, è una delle modalità con cui una Banca Centrale crea moneta (o meglio, stampa moneta) che immette nel sistema economico e finanziario tramite Operazioni di Mercato Aperto (OMOs). Con il QE la Banca Centrale acquista sul mercato per una determinata e preannunciata quantità di denaro, titoli di Stato (o altre attività).
Come possiamo immaginare, questo ha effetti di vario tipo. Il primo è quello sul cambio: più moneta si stampa e si mette in circolazione, più la valuta si deprezza. In Europa un effetto simile si è già avuto anche senza il QE: lo scorso giugno l’euro ha perso il 16% sul dollaro e il 7,8% sulle valute dei maggiori partner commerciali dell’Europa. La svalutazione offre certamente un sostegno alle esportazioni dell’UE e lo sa bene l’Italia, il cui PIL deriva per il 30% proprio da queste ultime e che ha anche un importante settore turistico.
Altro effetto positivo, in parte già registrato, è quello sui tassi d’interesse: se la BCE compra titoli di Stato, questi potranno pagare interessi sempre più bassi. Questo beneficio è in gran parte annullato in termini reali dalla bassa inflazione, ma uno degli obiettivi del QE annunciato da Draghi è proprio quello di farla risalire.
Se i titoli di Stato pagano un interesse più basso, allora si ridimensionano anche quelli degli altri tassi di interesse, vale a dire quelli di obbligazioni bancarie ed aziendali sui mercati finanziari e i tassi di riferimento come l’EURIBOR che è basato sui tassi di interesse medi a cui le banche dell’Eurozona prestano fondi non garantiti ad altre banche, con maturità che vanno da una settimana ad un anno. Concretamente questo aiuta chi ha un mutuo da pagare e in ultima analisi, l’economia.
La domanda che in molti si pongono è se questa manovra potrà funzionare in Europa, in quanto si presentano una serie di problematiche che rendono i benefici sopra elencati molto meno incisivi che negli Stati Uniti.
Il motivo è molto semplice: l’economia europea è diversa da quella americana. Negli Stati Uniti ci sono grandi aziende che si finanziano principalmente sul mercato finanziario e che quindi beneficiano immediatamente e direttamente della liquidità immessa dalla FED sui mercati. In Europa, le piccole e medie imprese la fanno da padrone e queste non si finanziano sui mercati, se non in modo del tutto marginale. La quasi totalità del credito (tra l’80 e il 90%) proviene dalle banche. Affinché il beneficio del QE arrivi alle PMI, è pertanto necessario che siano le banche a ridurre i tassi alle imprese e che aumentino le erogazioni.
Altro problema è che questa manovra è di solito accompagnata da altre misure definite espansive. Quando negli USA fu lanciato il Quantitative Easing, il governo contemporaneamente spendeva soldi pubblici, infatti il deficit federale crebbe dal 2,8 al 12,4% dalla fine 2007 al 2009. Al contrario, i bilanci statali dell’Europa, sono vincolati dalle direttive di Bruxelles. È tuttavia previsto un piano, noto come Piano Juncker, per rilanciare la crescita economica e produrre investimenti, senza produrre nuovo debito pubblico che affianchi il QE.
Non ci resta che stare a vedere se quello che è stato definito “il bazooka di Draghi” sortirà gli effetti sperati, replicando i risultati ottenuti negli USA.

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