Lorenzo Insigne nasce a Napoli, nel ’91, in un rione popolare. Abita in un condominio dove tutti conoscono tutti e, nel piccolo cortile, inizia a sferrare i primi calci al pallone. I condomini si lamentano, ma lui continua ostinato. Non va bene a scuola, ha la mente altrove, sui campi di gioco, dove la sfera rotola beffarda e imprecisa lungo terreni sconnessi.
E’ napoletano fino al midollo. Farà tutta la trafila nelle giovanili partenopee. Non sarà un percorso semplice: il ragazzo è piccolo, umile e timido. Un alto rendimento a livello professionistico pare improbabile. Però ha una gran tecnica. “Il ragazzo si farà, anche se ha le spalle strette”, direbbe De Gregori. E’ quello che deve anche aver pensato Zdenek Zeman, quando lo vide per la prima volta al Crotone, dove era stato mandato in prestito per farsi le ossa. Per il santone del calcio verticale si tratta della seconda esperienza sulla panchina pugliese. Poche soddisfazioni, le attese sono tradite. L’unica nota positiva è quel piccolo scugnizzo con il viso genuino.
C’è intesa tra i due. Il fumo delle sigarette non offusca gli occhi del ceco, che vede un grande futuro in quel metro e sessantatré. “Un giocatore lo vedi dal coraggio dall’altruismo e dalla fantasia.” Porta Insigne con sé, a Pescara. Lo affianca ad un altro campano promettente, Ciro Immobile. Zeman intuisce il valore della potenzialità del duo e decide di spostare il piccoletto, che ha il destro come piede preferito, a sinistra. Il Pescara vinse il campionato di Serie B con largo anticipo. La coppia campana è una delle più prolifiche della storia della serie cadetta.
E’ arrivato il momento, il ragazzo è pronto per tornare a casa. Il primo gol con la maglia azzurra arriva al San Paolo, contro il Parma. Subentra a Edinson Cavani, l’idolo del momento. Sguscia quasi inosservato tra la difesa emiliana, viene servito al limite del fuorigioco e insacca strozzando il tiro sul palo del portiere. E’ nato un nuovo simbolo per Napoli: Lorenzo il Magnifico, ventuno anni appena.
Oggi, quattro anni dopo quel pomeriggio autunnale, è un giocatore affermato. L’umiltà è un po’ svanita, sono comparsi i primi tatuaggi. Il talento, però, è rimasto lo stesso. Sta per esplodere con un altro grande fumatore in panchina. Dodici reti e dieci assist. I numeri parlano chiaro, ma manca ancora un trofeo. La battaglia per lo scudetto è aperta. E lui ha un ruolo da protagonista.
Torinese, laureato in giurisprudenza, mite di natura e polemista per vocazione. Amo il cinema quando cala l’oscurità, gli scalatori che salgono sui pedali e le allitterazioni che allettano gli allocchi. Scrivo, con solerte pigrizia, di sport.