Hikikomori è un termine giapponese che significa “stare in disparte” e indica una pulsione all’isolamento fisico continuativa nel tempo, che si innesca come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale, tipiche delle società capitalistiche economicamente sviluppate.
La definizione è stata coniata da Marco Crepaldi, laureato in psicologia sociale e fondatore dell’associazione Hikikomori Italia che ha come scopo quello di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni, supportare ragazzi e genitori, nonché creare una rete nazionale di supporto e informazione. Crepaldi usa il termine pulsione perché hikikomori non è soltanto riferito alla persona che si isola, ma comprende tutti quegli individui che avvertono l’irrefrenabile bisogno di isolarsi per un prolungato periodo di tempo.
Il fenomeno colpisce prevalentemente maschi tra i 14 ed i 30 anni, in particolare figli unici di famiglie benestanti anche se, potenzialmente, potrebbe non avere veri limiti di sesso, età o estrazione sociale. L’isolamento femminile, infatti e purtroppo, è fortemente sottostimato in quanto genera meno allarme sociale di quello maschile.
In Giappone ci sono oltre 500.000 casi accertati, mentre in Italia se ne stimano almeno centomila.
Contrariamente a quanto si è portati a pensare, l’hikikomori non è una malattia, ma una condizione generata dalla percezione di un forte disagio adattivo correlato al contesto sociale, le cui cause possono essere molteplici. Una condizione di isolamento estremo che perdura nel tempo può però sfociare in patologia.
Esiste infatti un “hikikomori primario” identificabile con l’isolamento sociale non associato a psicopatologie e un “hikikomori secondario” che subentra quando, in associazione all’isolamento sociale, si sviluppano psicopatologie come la depressione o la dipendenza da internet.
Gli hikikomori sono ragazzi intelligenti, introversi e molto sensibili che riscontrano un’enorme difficoltà nell’istaurare relazioni sociali soddisfacenti e che non trovano strategie positive di reazione alle inevitabili frustrazioni della vita. Un attaccamento morboso ad una madre iperprotettiva, l’assenza della figura paterna ed essere oggetto di bullismo in ambito scolastico sono fattori comunemente riscontrabili in un hikikomori. Il rifiuto, anche saltuario, di andare a scuola, l’abbandono delle attività sociali sportive o culturali e l’inversione del ritmo sonno-veglia si configurano, in questa cornice, come campanelli di allarme.
L’hikikomori è un fenomeno dinamico, può essere sia progressivo che recessivo ed è possibile distinguerne diversi livelli di intensità in base alla gravità dell’isolamento sociale del soggetto.
Al I stadio il soggetto comincia a percepire la pulsione all’isolamento, senza però elaborarla in maniera conscia. Inizia a preferire attività solitarie, pur mantenendo contatti sociali: è in questa fase che si riscontrano i primi campanelli di allarme. Al II stadio il soggetto comincia ad elaborare l’isolamento e lo attribuisce a determinate occasioni sociali che lo spingono, così, a limitare al minimo le interazioni, ad abbandonare la scuola ed a ritirarsi nella propria stanza. Al III stadio il soggetto smette di combattere la pulsione all’isolamento e persino il rapporto con i familiari diventa fonte di enorme disagio. In questa fase è molto probabile sviluppare una serie di psicopatologie ed è difficile che si riesca a tornare alla socialità, in quanto l’isolamento è ormai fortemente radicato ed interiorizzato.
Da un’indagine condotta sul territorio nazionale è emerso che la durata media dell’isolamento della maggioranza dei ragazzi oggetto di studio supera i 3 anni e coinvolge prevalentemente ventenni. È importante quindi cominciare a parlare dell’argomento e prestare attenzione ai fattori di rischio; uno su tutti l’allontanamento progressivo dal gruppo di coetanei. La solitudine, il senso di inadeguatezza e la paura di relazionarsi con gli altri sono meccanismi mentali che si rafforzano nel tempo, diventando difficili da sradicare.
L’associazione hikikomori Italia ha stilato una serie di buone prassi che forniscono un indirizzo generale su come affrontare assertivamente il fenomeno; è opportuno però tenere in considerazione che qualsiasi tipo di raccomandazione non po’ e non deve essere applicata in modo standardizzato, senza cioè tenere conto delle particolarità di ogni singolo caso.
È necessario innanzitutto focalizzarsi sul benessere e alleggerire il carico di pressione che grava sulle spalle dei ragazzi. Costringerli ad andare a scuola oppure ad uscire di casa non farebbe altro che spingerli sempre più ad isolarsi. Molti genitori, infatti, tendono a concentrarsi su questi due aspetti [l’uscire di casa e l’andare a scuola] e su soluzioni rapide e facilmente applicabili, senza però rendersi conto che forzare il proprio figlio in una situazione che comporta per lui molto disagio, sortisce l’effetto contrario. L’hikikomori è un problema che va affrontato a livello sistemico e necessita il coinvolgimento di tutti i componenti della famiglia. Sarebbe auspicabile quindi farsi guidare da un professionista esperto, che segua genitori e figli in una terapia familiare. L’antropologa Carla Ricci ha dichiarato che se i genitori decidessero di riformare i loro ruoli, guardando dentro sé stessi con sincerità ed abbandonando gli inganni con cui hanno vissuto, creerebbero un diverso ambiente emotivo che impatterebbe positivamente su tutti.
Non bisogna sottovalutare poi l’effetto benefico che può avere iscriversi ai numerosi gruppi di mutuo aiuto presenti sulle piattaforme digitali ed alle associazioni di categoria per trovare informazioni, supporto o, più semplicemente, sollievo nella condivisione delle ansie. Mai dimenticare che la famiglia è la primaria e più importante agenzia di socializzazione e rappresenta il punto di partenza fondamentale per ricostruire la fiducia necessaria agli hikikomori per iniziare a desiderare di volersi relazionare nuovamente con l’altro.
Articolo già pubblicato sul Quotidiano del Sud – L’Altra voce dell’Italia di lunedì 02/03/2020
Assistente sociale, sognatrice incallita, idealista per nascita ed irriverente per vocazione. Ama leggere, guardare le maratone di Mentana su la7, i telefilm, il cinema, le arance amare e la politica. Dai posteri verrà ricordata per l'autoironia e la propensione alle battute a doppio senso.