Con la sentenza n. 1 del 2021 la Corte Costituzionale ha “salvato” la norma che assicura l’accesso al gratuito patrocinio per le vittime di reati di violenza sessuale e di genere, prescindendo dal requisito reddituale. Si è parlato di una pronuncia storica e, in effetti, non può negarsi come essa segni un passo importante nell’ardua e lunga strada della tutela dei soggetti più vulnerabili. La questione, però (anzi per fortuna) è cominciata molto prima del 2021 e val la pena ripercorrerla per comprendere più a fondo e con maggiore consapevolezza la decisione del Giudice delle leggi.
La norma portata all’attenzione della Corte è l’art. 76 comma 4 ter del Testo Unico in materia di spese di giustizia (T.U.S.G.) e non era presente nel testo originario del 2002, ma vi è stata aggiunta con il d.l. 11 del 2009 nell’ambito di una più ampia opera di contrasto ai reati di violenza contro le donne. In quell’anno, infatti, facevano ingresso nel nostro ordinamento altre norme di estrema rilevanza come l’art. 612 bis c.p. che per la prima volta codifica e punisce il reato di atti persecutori, più comunemente noto come stalking, e l’art. 282 ter c.p.p. che consente al giudice di disporre, già in fase di indagini, il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa. L’obiettivo generale del legislatore del 2009, si legge nel preambolo del decreto, era quello di intervenire a fronte della “allarmante crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale, attraverso un sistema di norme finalizzate al contrasto di tali fenomeni e ad una più concreta tutela delle vittime dei suddetti reati”.
Nel 2013, inoltre, l’Italia ratificava la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica e predisponeva strumenti per accelerare i processi per i reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e atti persecutori, inserendoli tra quelli aventi priorità assoluta.
Ancora, nel 2017 con la sentenza Talpis, la Corte Europea dei diritti dell’uomo sanzionava il nostro Paese per l’assenza di una normativa che garantisse una adeguata protezione alle donne vittime di violenza domestica. Sulla scia di questa condanna e del forte allarme sociale che ancora destano i continui episodi di violenza di genere, domestica e sessuale, è intervenuto nuovamente il legislatore nel 2019 con la legge n. 69 (c.d. Codice rosso), con cui oltre all’introduzione di nuovi reati come il revenge porn e lo sfregio al volto, è stata velocizzata ulteriormente la procedura per i reati in esame e sono state predisposte misure più congrue di prevenzione e supporto alle vittime.
Sul versante specifico dei reati a sfondo sessuale in danno di minori, invece, merita di essere citata in particolare la ratifica da parte dell’Italia della Convenzione di Lanzarote del 2012. A seguito della ratifica, infatti, l’ordinamento interno ha inasprito le pene e innalzato i termini di prescrizione per i suddetti reati, la cui carica offensiva risiede nel fatto che il minore, secondo le regole di esperienza, quandanche consenziente all’atto sessuale o alla mercificazione del proprio corpo, non ne comprende a pieno l’impatto sul proprio sviluppo psico-fisico.
In questo quadro si inserisce, dunque, il comma 4 ter dell’art. 76 T.U.S.G. che permetteva, e permette tutt’oggi, l’accesso gratuito alla giustizia per le vittime di maltrattamenti in famiglia, pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, violenza sessuale, violenza sessuale di gruppo, stalking, tratta di persone, prostituzione e pornografia minorile, atti sessuali con minorenne. Ciò in deroga alla regola per cui l’ammissione al gratuito patrocinio è condizionata alla prova di un reddito annuo imponibile inferiore ad euro 11.498,82. In altre parole, chiunque sia vittima dei reati elencati all’art. 76 comma 4 ter ha la possibilità di partecipare al processo in modo totalmente gratuito, senza che a ciò rilevi la sua situazione patrimoniale.
La ratio sottesa alle scelta del legislatore è quella di incentivare la denuncia di episodi di violenza generalmente intesi. Come anche non ha mancato di chiarire la Corte di Cassazione, la finalità è quella di “assicurare alle vittime di quei reati un accesso alla giustizia favorito dalla gratuità dell’assistenza legale” (Cass. Pen, IV Sez., sent. n.. 13497, 20 marzo 2017).
È una scelta di politica criminale che mira ad agevolare l’analisi costi/benefici che le vittime di questi episodi delittuosi effettuano nella scelta tra la denuncia ed il silenzio; un modo per aggiungere un pro in una lista dove molte vittime a volte inseriscono tanti – e spesso solamente – contro, temendo le conseguenze della loro richiesta d’aiuto. Prima di ogni altra cosa, può dirsi che la norma sia una testimonianza della profonda solidarietà della comunità per le vittime di reati aberranti come quelli in esame. Solidarietà che il legislatore offre indistintamente a tutte le persone offese da tali reati, che siano più o meno abbienti.
È stata proprio questa parificazione dei soggetti ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio nei suddetti casi a far dubitare della compatibilità della norma con la Costituzione. Invero, il giudice che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale ha lamentato la violazione del principio di uguaglianza, nella sua declinazione di uguaglianza sostanziale e ragionevolezza. Tale principio impone di trattare in modo uguale situazioni uguali e in modo diverso situazioni diverse. Nell’ordinanza di rimessione il giudice a quo ha definito l’accesso indiscriminato al gratuito patrocinio un automatismo in base al quale si trattano in modo uguale situazioni che uguali non sono; si tratterebbe di una deroga al principio di uguaglianza sostanziale sprovvista di una ragionevole giustificazione, anche considerando che in materia di gratuito patrocinio il diritto di difesa si scontra e va contemperato con le esigenze di contenimento della spesa pubblica. In altre parole egli si è chiesto se fosse davvero ragionevole regalare l’assistenza legale anche a chi potrebbe agevolmente pagarla da sé.
La Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione.
Secondo la Corte, infatti, l’automatismo del gratuito patrocinio nei casi dell’art. 76 comma 4 ter non è affatto irragionevole, poichè si fonda su dati empirici e studi vittimologici che dimostrano, da un lato, la vulnerabilità delle persone offese da questi reati e, dall’altro, l’idoneità degli strumenti solidaristici a far venire meno, almeno in parte, talune paure ed insicurezze.
La condizione di vulnerabilità è, dunque, il comune denominatore delle fattispecie criminose prese in considerazione dalla norma. In taluni casi la fragilità della vittima è preesistente al reato, rappresentandone l’occasione stessa, come nel caso della prostituzione minorile o degli atti sessuali con minorenne dove l’autore approfitta dell’incapacità del minore a prestare un consenso consapevole. In altri casi la vulnerabilità è conseguenza diretta del reato come accade nei reati di violenza sessuale, violenza di genere ed anche nei reati che nel linguaggio giuridico sono definiti abituali, come i maltrattamenti in famiglia e lo stalking, caratterizzati dalla reiterazione di più episodi criminosi omogenei, più o meno gravi, che poco per volta privano la persona offesa di sicurezza e forza.
Il gratuito patrocinio è un’offerta di aiuto, un messaggio di fiducia e sostengo pubblicistico alle vittime, incentivandole alla denuncia di reati che rimangono ancora in gran parte taciuti. A ciò si aggiunga che, contestualmente, si tratta di un indiretto disincentivo alla commissione di crimini che, nonostante il sommerso, sono comunque i protagonisti delle aule di giustizia da fin troppi anni. Sono, questi, i medesimi motivi che hanno determinato l’avvicendarsi degli interventi legislativi ad intensità crescente, sopra brevemente illustrati.
La decisione della Corte, dunque, oltre ad avere il pregio di una coerenza sistematica e giuridica, si pone senza soluzione di continuità sul solco delle scelte di politica criminale volte al contrasto della violenza sessuale, sui minori e di genere, dove ancora molto comunque resta da fare, soprattutto in termini di prevenzione e, prima ancora, di educazione.