La giovane stella della pallavolo maschile si racconta
Volto ormai noto della nazionale italiana maschile di pallavolo, Daniele Lavia resta senza dubbio per la squadra un elemento di grande forza. L’atleta calabrese, classe ’99, ha saputo distinguersi sin da subito per le abilità sportive innate: dal Corigliano Volley prima, alla Materdomini Volley di Castellana Grotte poi, ha saputo mantenere alta un’aspettativa che si è confermata nel mondiale juniores del 2019 dove è stato premiato come migliore schiacciatore della competizione. Nell’attesa di una Parigi sperata, ci racconta i suoi inizi.
Com’è nata la passione per la pallavolo?
«I miei fratelli giocavano a pallavolo: il più grande, all’età di quattordici anni, partì per la città di Vibo Valentia mentre il medio restò a giocare a Rossano. Io, frequentando la scuola con mia cugina, che praticava già il minivolley, mi convinsi a provare. Allora giocavo a calcio. La passione per la pallavolo, in realtà, c’è sempre stata perché seguendo le partite dei miei fratelli venivo travolto dallo stesso entusiasmo per il quale giocavano».
Hai lasciato la città natia molto presto. Com’è stato?
«Sì, all’età di sedici anni. È vero, sono partito ma ero abbastanza vicino. I miei genitori venivano spesso a Castellana Grotte. Sentivo molto la loro presenza. Poi, andando a scuola e facendo gli allenamenti avevo pochi spazi liberi per pensare. Ad essere sinceri quella città mi ha segnato molto perché ho fatto lì i miei ultimi anni di scuola e ho allacciato una quantità di amicizie davvero infinita. Sono stato molto bene, anche sotto l’aspetto scolastico, non solo pallavolistico. Pensavo fosse più traumatico, invece si è rivelata un’esperienza davvero bella che custodisco con affetto».
La presenza di associazioni sportive ed oratori, all’interno delle nostre comunità, rappresenta un’incredibile risorsa educativa. Quanto ha segnato l’esperienza del Minivolley rossanese?
«Molto perché ho mosso i miei primi passi lì. La mia fortuna è stata avere dei buoni allenatori. A Rossano avevo Marcello Montella, poi, iniziando gli under 16, ho avuto come allenatore Giacomo Bozzo che è stato molto importante per la mia crescita, soprattutto tecnica. Lo ringrazio molto. Spesso ci sentiamo».
Quale legame conservi della città nativa?
«Il legame è sempre molto forte. Appena ho qualche giorno libero, molto pochi in realtà, faccio ritorno, soprattutto per riabbracciare la mia famiglia. Ritorno sempre con molto piacere. Sono stati e sono molto presenti, mi sostengono anche da lontano. Sento in realtà un forte sostegno da parte di tutta la città. La loro vicinanza in realtà sta appassionando sempre più allo sport della pallavolo e questo mi inorgoglisce molto».
Quali sono state le emozioni nelle prime partite in Nazionale?
«Le emozioni sono sempre state molto forti. Ricordo la mia prima convocazione in nazionale giovanile: sono stati salti di gioia perché era un sogno che custodivo. Lì poi ho fatto il capitano per un paio di anni, quindi è stato ancora più bello. Poi, in questi tre anni, ho vissuto emozioni molto forti, ancora più intense perché vestire la maglia seniores significa vestire la maglia della Nazionale, quella vera. Poi, poter giocare delle competizioni così importanti non è da tutti, non è scontato ed è bellissimo. È stupendo anche perché coinvolgi davvero tutta la Nazione. Quando si vince, come abbiamo fatto noi, ancora di più! Diciamo che le emozioni che si provano, dipendono anche ad uno spirito di squadra compatto; questo favorisce senza dubbio un coinvolgimento ancora più sentito con quanti ci seguono o iniziano a farlo».
Lo sport aiuta a sviluppare un atteggiamento positivo nei riguardi delle sfide della vita?
«Lo sport aiuta molto, a livello fisico, mentale e sociale secondo me perché devi saper interfacciarti con un’intera squadra, quindi altri atleti sapendo mantenere la giusta intesa. Poi quando si ha la fortuna di avere un gruppo che abbia una buona sintonia questo avviene spontaneamente, senza che tu faccia nulla per volerlo. Per fortuna, in questi anni, posso dire di aver avuto sempre bei gruppi; non ho avuto grosse difficoltà. Avere un gruppo affiatato ti aiuta molto perché devi saper instaurare rapporti forti con i tuoi compagni di squadra. Lo sport, in generale, è importante nella vita anche perché aiuta a maturare valori come la disciplina, la resilienza, la sana competizione e l’amicizia».
Cosa ti sarebbe piaciuto fare se non ti fossi trovato a giocare come pallavolista?
«Ah, boh! In realtà a me piace anche molto il tennis, ovviamente in modo dilettantistico perché non praticandolo non saprei, ma è uno sport che seguo molto. Da ragazzino seguivo l’attività dei miei genitori che sono consulenti del lavoro. Crescendo, specie nel periodo estivo, li aiutavo quando potevo. Mi sono sempre immaginato come consulente, insieme a loro, poi è arrivata la pallavolo e l’ho accolta a braccia aperte».
Quali i prossimi impegni e obiettivi?
«Allenamenti, tanti allenamenti. Tra gli obiettivi quelli di cercare di vincere il più possibile come al solito, come tutti gli sportivi. Ora con Trento perché riprendiamo con i campionati quindi ci concentriamo su questo e poi, finito Trento, cerchiamo di staccare il pass olimpico per Parigi. La possibilità concreta di riuscire c’è però molto dipende da noi, può succedere di tutto. Dobbiamo essere bravi nella prossima Vnl restando concentrati ed attenti perché si gioca qualcosa di importante».
Cosa consiglieresti a chi sogna di intraprendere il tuo stesso percorso di carriera?
«Non avere paura di lasciare casa. Al Sud abbiamo poche infrastrutture, ovviamente parlo sotto l’aspetto pallavolistico, e poche società capaci di seguirti lungo il percorso di formazione, quindi c’è necessariamente bisogno di spostarsi. Bisogna fare tanti sacrifici. So che è difficile, specie quando si è molto legati alle proprie origini; è necessario lasciare gli affetti per credere nelle possibilità che si presentano nella vita. Poi, andare a duemila, allenarsi tanto, studiare e molto altro».
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni