Nel rush finale di studio matto e disperato pre-sessione-invernale, mi sono ritrovata a desiderare un intermezzo leggero e poco impegnativo, una serie tv ben fatta e bella da vedere ma che non mi lasciasse angosce da cliffhanger ad ogni episodio.
Avventuratami in quella che sembrava un’impresa impossibile, che certamente ha tolto tempo prezioso ai libri universitari, mi sono imbattuta in Galavant. L’introduzione sembrava promettente: un giovane eroe vissuto in epoca medioevale deve sfoggiare tutta la sua virile tenacia per salvare la sua damigella dal malvagio re Richard, che l’ha rapita per sposarla.
Solo attraverso la trama è difficile capire il tono della serie. Sono due stagioni (la seconda rinnovata a fatica, a causa dei pochi ascolti) e un totale di quattordici episodi di intrattenimento puro, senza pretese. Senza prendersi neanche per un attimo sul serio, Galavant è pieno di canzoni e comicità. La struttura a musical potrebbe non convincere i detrattori del genere, ma la musica è parte integrante della trama al punto da diventare pretesto narrativo e sketch comico insieme. Venti minuti a episodio che divertono in modo esagerato e fungono perfettamente da pausa leggera da dispense e slide.
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I personaggi vengono caratterizzati in poche battute e si evolvono in modo naturale e inaspettato, chi prima amavi diventa un genio del male e chi credevi crudele, il più dolce degli uomini. Galavant in primis, l’eroe protagonista, incarna tutti gli stereotipi delle storie medioevaleggianti, ma cade nella depressione più nera (ma il più virilmente possibile, con barba lunga e whisky invecchiato) quando rifiutato dal suo “one true love”; la damigella in pericolo, Madelina, ben presto si rivela essere una ninfomane arrampicatrice sociale e il crudele re Richard un bimbo troppo cresciuto dai gusti raffinati.
Ma la caratteristica straordinaria che più mi ha fatto gridare al capolavoro -in ansia da esame e sotto effetto di integratori per la memoria e caffeina quindi sì, potrei sbagliarmi- è la rottura della quarta parete. A turno tutti dimostrano di sapere di essere parte di un prodotto televisivo, tanto da spesso dare voce ai produttori stessi, lamentandosi dei pochi ascolti o includendo clip di recap che, neanche tanto velatamente, danno dello stupido allo spettatore che ha osato dimenticare la trama dei primi tre episodi.
Gli spoiler non sono importanti, in fondo “We are not in Game of thrones!” (cit.) e i riferimenti all’attualità si sprecano e avvengono sempre quando meno te lo aspetti. Il perché sia stato seguito così poco resta un mistero per me e certo non voglio rischiare di non vederne una terza stagione, quindi, se nel mio piccolo riuscirò a convincere anche solo una persona a vederlo, saprò che è sempre più lontano dalla cancellazione, l’oblio di ogni show.
Orsù allora, dategli una chance. Tanto, Il trono di spade ricomincia ad aprile, la sessione è quasi finita… cosa avete di meglio da fare?