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La chitarrista salernitana Francesca De Filippis | ph: Marco Barile

Francesca De Filippis: «La mia chitarra per vincere la solitudine»

A colloquio con la musicista salernitana reduce da uno spettacolo su Pasolini

Eclettici e visionari, uniti dall’amore per l’Arte in tutte le sue declinazioni. Fuoriclasse del genio e della bellezza, ieri come oggi: Marc Chagall, Claude Debussy, Henri Matisse, Pablo Picasso, Maurice Ravel, Erik Satie, Paul Valéry. Parigi li fa incontrare e li consacra al crocevia tra le luci della Belle Époque e le ombre del secolo breve. Tra di esse, anche il dramma della guerra civile spagnola e l’avvento del regime franchista, che obbliga un’intera generazione di artisti a valicare i Pirenei.

Il loro punto di riferimento è un pianista catalano, Ricardo Viñes, al quale guardano con curiosità anche i maestri delle avanguardie artistiche e musicali di inizio Novecento. La sua casa parigina diventa così un luogo di incessante e febbrile sperimentazione, ma prima ancora un raffinatissimo cenacolo in cui conversare e ascoltare musica. Lo stesso salotto che ha ispirato l’album d’esordio di una giovane chitarrista salernitana, Francesca De Filippis: Une soirée chez Mr. Ricardo Viñes (Da Vinci Classics, 2020) rilegge pagine più o meno celebri del repertorio di grandi maestri francesi (non solo Debussy e Satie, ma anche Albert Roussel e Darius Milhaud, tra gli animatori dell’eccentrico gruppo dei Sei) e spagnoli (Manuel De Falla, Federic Mompou, Emilio Pujol).

Non solo riletture di brani pianistici, ma anche la rivisitazione di capisaldi della chitarra classica, come la Suite compostelana para guitarra di Mompou. Una ricerca sonora che incrocia i grandi capolavori dell’arte, sempre presenti nelle esibizioni dal vivo dell’allieva di Francesco Matrone. Che, dopo aver ottenuto importanti riconoscimenti all’estero per il suo debutto discografico, ha recentemente condiviso la scena con Claudia Gerini e Mauro Gioia per uno spettacolo teatrale dedicato alle canzoni di Pier Paolo Pasolini.

Maestro De Filippis, come si è avvicinata alla musica e, in particolare, alla chitarra classica?

«Il mio primo incontro con la musica è avvenuto grazie a mio padre, anch’egli musicista, seppure a livello amatoriale. Conservo ancora il ricordo di tante serate trascorse a suonare con i suoi amici, per i quali la musica rappresentava anzitutto l’occasione per stare insieme. Dopo aver frequentato le scuole medie a indirizzo musicale, sono entrata al Conservatorio di San Pietro a Majella a Napoli, dove ho conseguito prima il diploma, poi la laurea di II livello con il chitarrista Maurizio Villa. Ho proseguito i miei studi al Conservatorio “Arrigo Boito” di Parma, dove ho completato un master di II livello, e all’accademia “Musikene” di San Sebastian. Qui ho avuto la fortuna di conoscere un altro grandissimo maestro della chitarra, Marco Socìas».

La chitarrista salernitana Francesca De Filippis | ph: Marco Barile

Che cosa le ha dato questa esperienza formativa in Spagna?

«L’opportunità di frequentare un ambiente così prestigioso ha dato un’ulteriore spinta ai miei studi, se non altro perché sono innamorata della musica spagnola del primo Novecento e, in particolare, dell’opera di Emilio Pujol. Leggendo la sua autobiografia, mi ha particolarmente colpito il racconto della fuga da Lérida, la sua città natale, a Parigi, appena dopo la morte della madre per l’epidemia di influenza spagnola. Fu questa l’occasione per andare a trovare il suo caro amico Ricardo Viñes, che si era già trasferito da qualche anno a Parigi per studiare pianoforte al conservatorio. Una sera Pujol ebbe il privilegio di condividere il salotto di Viñes, frequentato da personaggi come Claude Debussy, Maurice Ravel e Manuel De Falla. Quell’aneddoto mi ha catturata e mi ha emozionata».

Come ha cercato di restituire le atmosfere di quel salotto così raffinato?

«Il mio maestro a Napoli, Maurizio Villa, è stato una grande fonte di ispirazione per me, perché mi ha convinta a cercare una forma-concerto diversa dalle classiche performance in cui manca l’interazione tra il concertista e il pubblico che assiste alla sua esibizione. Leggendo le pagine della biografia di Pujol, ho quasi desiderato di trovarmi nel salotto di casa Viñes. A quel punto, Villa mi ha suggerito di far rivivere quell’ambiente in un concerto. In fase di preparazione, non mi sono limitata soltanto a documentarmi sugli artisti che erano stati ospiti di Ricardo Viñes – su tutti Marc Chagall e Pablo Picasso – ma ho voluto anche associare un dipinto a ogni brano proprio per intraprendere un viaggio in un mondo che non è affatto semplice spiegare a uno spettatore di oggi, magari poco avvezzo alla musica francese o spagnola di inizio Novecento. In questo modo, ho cercato di trasmettere l’emozione che ho provato mentre immaginavo di trascorrere una serata con loro, abbinandola a un tipo di concerto diverso con cui coinvolgere gli spettatori».

Un’esibizione di Francesca De Filippis al Festival della chitarra di Lagonegro (Potenza) risalente all’agosto 2022

In che modo ha sviluppato questa contaminazione tra i dipinti e le composizioni che lei ha rivisitato?

«Questa ricerca è il frutto dello scambio di idee con i miei amici musicisti, allargato anche agli artisti con cui collaboro abitualmente e ad alcuni formatori che lavorano in ambito artistico e teatrale, ognuno dei quali ha dato un senso alle mie emozioni. D’altra parte, sono stata sempre affascinata anche dalle letture dei saggi sull’associazione tra i suoni e i colori. A mio avviso, l’aspetto più coinvolgente di questo progetto sta proprio nel fatto che la proiezione dei dipinti segua il ritmo della musica».

Qual è stato il punto d’incontro tra musicisti tanto diversi, seppure accomunati dalla rivoluzione armonica di Claude Debussy?

«Non è semplice spiegare perché siano nate determinate collaborazioni. In linea di principio, però, la musica si fa insieme agli altri: per quanto un compositore voglia restare chiuso a scrivere nella sua casa, parliamo pur sempre di una persona che viaggia tantissimo, perché altrimenti non potrebbe creare e contribuire all’evoluzione del linguaggio musicale. Qualsiasi incontro è anzitutto un incontro tra persone, idee e nuove esperienze. E solo questo agevola la comunicazione e la condivisione di nuove cose. Tra l’altro, Debussy ha l’occasione di conoscere Manuel De Falla – scampato alla guerra civile spagnola – proprio nel salotto di Viñes. Tra i due si crea una vera e propria magia, al punto che Debussy sarà letteralmente estasiato dalla chitarra, uno strumento che conserva un’anima al tempo stesso passionale e popolare. All’indomani della sua morte, De Falla omaggerà la memoria del compositore francese, scrivendo l’unico pezzo originale per chitarra del suo repertorio, Le tombeau de Claude Debussy, commissionatogli dal direttore della Revue musicale, Henry Prunières».

De Filippis al Club 55 di Napoli | ph: Marco Barile

Cosa c’è di suo nella rilettura di questi brani? Per esempio, la Cancion di Manuel De Falla è stata arrangiata proprio da lei.

«In questo senso, ho voluto apportare una sorta di innovazione, tenendo presente che De Falla ha scritto un solo pezzo per chitarra. Dal momento che non mi interessava riproporre una composizione già nota, ho pensato invece di omaggiare il De Falla degli esordi, eseguendo la Cancion, un brano originale per pianoforte che apprezzo da sempre. Sebbene abbia dovuto modificarne la tonalità per adattarlo alle caratteristiche della chitarra, mi sembra che funzioni abbastanza bene».

Nel gennaio 2023 lei ha partecipato a uno spettacolo teatrale, Cado sempre dalle nuvole, interamente dedicato alle canzoni di Pier Paolo Pasolini. Quali sensazioni le ha dato l’incontro con un aspetto poco noto della vita del grande intellettuale friulano?

«Prima di tutto, è stata un’opportunità incredibile e, al tempo stesso, un onore per me: condividere il palco con Mauro Gioia e Claudia Gerini è stata una fortuna. Meglio: un’esperienza che mi ha insegnato come si fa il teatro e come si sta sulla scena, anche per merito del regista Francesco Saponaro e dello sceneggiatore Igor Esposito. Questo spettacolo non passa in rassegna soltanto i momenti più importanti della sua esistenza: Cado sempre dalle nuvole, infatti, è anche un viaggio nella Roma di Pasolini. In questo modo, abbiamo voluto riconoscere la giusta importanza alla sua figura, che in Italia non è ancora considerata come merita. Stiamo parlando di un genio, la cui morte ha purtroppo oscurato la sua filosofia di vita, la sua poesia, le cose di cui parlava. Raccontare il Pasolini paroliere al servizio di grandi autori della canzone italiana degli anni Sessanta e Settanta è stato davvero un privilegio».

De Filippis ha esordito nel 2020 per l’etichetta Da Vinci Records con Une soirée chez Mr. Ricardo Viñes | ph: Marco Barile

A suo giudizio, cosa serve per mettere in comunicazione la musica colta con il pubblico di estrazione più popolare? La chitarra può essere considerata il ponte tra culture e mondi all’apparenza distanti?

«Da questo punto di vista, la chitarra è uno strumento che ha un’anima nobilissima e popolare, fatta apposta per essere portata in strada. Nel mio piccolo, non dimentico mai questa duplice dimensione della chitarra. Fatta questa premessa, la possibilità di coinvolgere il maggior numero possibile di spettatori in questi spettacoli passa per il tentativo di allestire concerti molto diversi da quelli tradizionali. Se ci pensiamo, il modello di concerto a cui siamo tutti abituati – con il concertista che va in tournée e si esibisce nelle sale più importanti – nasce indicativamente nella seconda metà dell’Ottocento. Le analogie con il passato, però, sono sostanzialmente inesistenti: nel Barocco, infatti, la possibilità di fare musica, di creare, di improvvisare, di spaziare tra diversi generi e di adattare un pezzo a svariate tipologie di strumento era completamente differente. Si tratta di qualcosa che abbiamo perso, anche solo in termini di coinvolgimento, perché ci siamo chiusi in una specie di gabbia dorata. Questo ci ha fatto perdere l’opportunità di comunicare e di aprirci a tutti. Pertanto, la mia idea è di riscoprire il fermento creativo del Barocco, quando c’era la possibilità di suonare diversi generi, di improvvisare e di essere presenti tanto nei teatri, quanto nelle sale da concerto. A mio avviso, non è più così vincente l’idea di un musicista dalle capacità spettacolari, isolato in una sala del teatro mentre esegue le sue melodie. Di contro, c’è bisogno di tornare a comunicare quello che ci emoziona, quello che sentiamo dentro di noi. In fin dei conti, non è forse questo che le persone apprezzano?».

Quali musiche ama l’ascoltatrice Francesca De Filippis?

«Ho un debole per la musica popolare e per le sonorità sudamericane. Più in generale, apprezzo tutto quello che mi riporta alle origini. Se penso ai suoni della mia terra, mi piacciono molto le tammorre. Sono altresì attratta dal canto melismatico (una variante dei canti gregoriani, in cui una sillaba o una parola vengono cantate su note diverse, ndr) per il messaggio potentissimo che trasmette a livello musicale».

De Filippis in concerto a Brienza (Potenza) per il Lucania Classica Festival 2023 | ph: Lucania Classica Festival

E se volessimo allargare lo sguardo alla musica leggera?

«Sono cresciuta con mio padre che, tutte le mattine, suonava le canzoni dei Pink Floyd, dei Genesis e di Stevie Wonder. Tra i miei musicisti preferiti, posso senz’altro annoverare Sting e Pat Metheny. Inoltre, ho una certa predilezione per il jazz manouche (un genere nato tra gli anni Venti e Trenta del Novecento dall’incrocio tra il jazz americano e la musica gitana, ndr)».

Torniamo a Une soirée chez Mr. Ricardo Viñes. Qual è la lezione che questa serata lascia agli ascoltatori del XXI secolo?

«In primo luogo, l’idea di stare insieme. La nostra cultura ci porta sempre di più verso uno spiccato individualismo. Al contrario, l’arte è un antidoto all’idea di essere isolati nel proprio mondo. Stare insieme è la scintilla che può generare nuove idee e sviluppare nuovi linguaggi».

Maestro, ci parli dei suoi progetti futuri.

«Quest’estate sono stata selezionata per il progetto delle “residenze erranti”, di cui è protagonista un collettivo di giovani artisti che mettono a disposizione i propri spazi per una serie di incontri e momenti di confronto. La mia proposta prende le mosse da composizioni originali per chitarra realizzate da musiciste spagnole nei primi anni del Novecento. Benché queste donne siano state concertiste di grande prestigio, ammirate da pianisti come De Falla ed Enrique Granados, i loro nomi non compaiono sui libri di storia della musica e i loro brani per chitarra non vengono incisi né suonati in concerto. Di conseguenza, il mio obiettivo è di rivalutare il repertorio pressoché sconosciuto di queste artiste, che portarono avanti anche una rivoluzione estetica: le sin sombrero, infatti, si ribellarono a quei canoni che impedivano loro di esprimere la propria arte al 100%. Avrò la possibilità di sviluppare questo progetto grazie a un modello di chitarra per donna, la Señorita, costruita nel 1916 dal liutaio José Ramirez I».

Carmine Marino
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Nonostante sia cresciuto nell'era del digitale, si professa analogico e nostalmalinconico. Cultore di Springsteen, dei saggi storici e delle gassose, ha scoperto Venti in piena pandemia: amore a prima vista. Ricambiato, una volta tanto.