Navigando in uno dei tanti meandri del web nel quale si parla di libri, ho trovato in più di qualche community una domanda abbastanza singolare essere oggetto di discussione: ‘È meglio leggere libri di me*d@ o non leggere proprio?’ .
Le opinioni sono polarizzate principalmente ai due opposti: c’è chi è per leggere qualsiasi cosa pur di uscire dall’oblio dell’ignoranza, versus coloro che difendono le strutture classiche del linguaggio contro la dilagante avanzata di abbreviazioni, inglesismi ed emoticons nella comunicazione scritta di tutti i giorni. Un’invasione di barbari, per dirla alla Baricco (principalmente nel suo “I Barbari, saggio sulla mutazione” edito da Feltrinelli), quando si trova a descrivere cambiamenti di grande impatto e di forte rottura rispetto allo status quo del periodo nel quale avvengono.
Ma prima di esprimermi riguardo la legittimità della fruizione di libri di me*d@ è bene ricordare che (1) la lettura ha intrinsecamente il carattere della preferenza individuale, i gusti di lettura sono influenzati da una molteplicità di fattori diversi da individuo a individuo, e (2) non sempre l’equazione testo frivolo uguale lettore inesperto risulta valida.
Fatte queste ovvie ma dovute precisazioni, cosa rende per me un libro di scarsa qualità? Povertà nella forma, attraverso punteggiatura assente o usata in modo incorretto, sintassi povera, vocabolario non adeguato; e povertà nei contenuti: storia non interessante, assenza di elementi descrittivi, parti del racconto disconnesse o incomplete, riferimenti storici incorretti o casuali.
Alla luce di questa definizione, se qualcuno dovesse chiedermi se È meglio leggere un libro di me*d@ o non leggere proprio? , da fiero e devoto proselito delle rime con endecasillabi in schema ABBA, risponderei ‘Dipende’. E non per devozione al politically correct.
Dipende perché negli ultimi decenni c’è stata un’evoluzione della lettura, della società e del ruolo delle case editrici così determinante che anche i puristi più accaniti devono fare lo sforzo di riconoscere.
La lettura nella società odierna, che qualche anno fà il famoso sociologo Bauman ha definito liquida (a grandi passi verso la forma eterea), grazie agli smartphone è entrata in modo molto più massiccio nella nostra quotidianità, infatti si legge quantitativamente di più rispetto a qualche decennio fa, ma che tipi di testo?
Inoltre, la lettura digitale ha un grande impatto sia sul modo di leggere, sia sulla capacità di attenzione. Entrambi i fenomeni sono stati brillantemente descritti da Maryanne Wolf, neuroscienziata statunitense, nel suo “Lettore, vieni a casa. Il cervello che legge in un mondo digitale” edito in Italia da Vita e Pensiero. Sotto forma di lettere verso un ipotetico interlocutore, Dr. Wolf riesce a divulgare informazioni scientifiche sul tema e allo stesso tempo invitare verso il ritorno ad una lettura più profonda e riflessiva.
Del resto il tema della capacità di focalizzarsi è ampiamente dibattuto anche nei media mainstream ormai da anni. Voci autorevoli come Cal Newport, professore di Informatica alla Georgetown University di Washington DC, nel suo bestseller “Deep Work” (edito in Italia da ROI Edizioni) analizza come le distrazioni siano sempre più invasive impattando il nostro lavoro, tempo libero, e in fine anche la lettura, sempre più alla base di entrambi questi mondi (anche su questo blog se n’è parlato).
Su questo punto, le ragioni della fazione che difende la lettura di tutti i tipi di libri ha ragioni più che valide.
La società è cambiata, tremendamente, e non sempre in modo lineare. Infatti, mettendo sotto la lente alcuni angoli dello scenario in giro per l’Europa, viene fuori un quadro dove l’ascensore sociale che risulta bloccato un po’ ovunque (in Venti ne abbiamo parlato qui). Purtoppo, questo affonda le radici inevitabilmente nel tessuto culturale.
A tal proposito, è impetuoso il titolo con cui Repubblica il 10 dicembre 2024, a seguito di un rapporto OCSE sulla capacità di leggere e comprendere testi scritti e informazioni numeriche, descrive lo stato delle cose: “Oltre un terzo degli adulti è analfabeta funzionale, Italia ultima tra i Paesi industrializzati”. Entrando nei dettagli descritti nel testo, la situazione peggiore si trova al Sud, ed i giovani tra i 16-24 anni hanno competenze maggiori delle persone tra i 55 ed i 65 anni. Non è un caso che sempre più giovani cerchino in luoghi lontano dall’Italia un posto dove trovare terreno fertile per la loro crescita personale e professionale.
Anche su questo tema, leggere indipendentemente alla qualità del testo sembrerebbe porta benifici ad un sistema nel quale la lettura debba essere vista come una nuova necessità di base, ritornata purtroppo in scena.
Il terzo cambiamento degno di menzione è quello delle case editrici. In un settore dove secondo dati ISTAT si legge poco e le vendite rimangono a galla grazie ai giovani (dato in linea con il rilevamento OCSE), la corsa al profitto è sempre più affannosa. Ma perché le case editrici rappresenterebbero un problema?
Sia chiaro, nessuno condanna il libro frivolo da leggere sotto l’ombrellone dopo mesi di lavoro. Il problema si pone quando, a fronte di una qualità mediocre del testo (bella forma/scarso contenuto), questo è presentato come fenomeno letterario, grazie solo alla sua bella forma (data da qualche ghostwriter) e un packaging d’effetto inserito in parterres letterari pop, che il lettore inesperto prende come riferimento.
In uno scenario poi dove il grande pubblico è composto sempre più da dis-affezionati e dis-orientati, i difensori dei classici sono quelli più critici verso questo passaggio forzato verso una letteratura da ipermercato (passatemi il termine, spero renda l’idea). Secondo loro infatti, l’acquisto ripetuto di libri di me*d@ da parte del lettore inesperto guidato solo per via del marketing, creerebbe il rischio di (1) alimentare scarse strutture lessicali e di pensiero seppur si legga molto, e (2) formare una bolla dalla quale il lettore inesperto fa fatica ad uscire, ma non per scarsa consapevolezza, piuttosto per una mancata esposizione ad altri tipi di prodotti, con scelte di lettura talvolta convenienti più a chi vende che a chi legge.
Riassumendo quindi le tre macro categorie e le opinioni dei due blocchi contrapposti, quel ‘Dipende’ in risposta alla domanda iniziale è diventato un ‘Sì’, sopratutto guardando l’ultima fotografia da deserto dei Tartari del panorama culturale italiano presentata da OCSE e ISTAT. Del resto in un mondo teatro di invasioni barbariche sempre più frequenti e una società liquidità che rischia di fare acqua (letteralmente, climate change anyone?), comprendere prima e scegliere se e come adattarsi poi è skill fondamentale.
Per questa ragione, sul piano personale ho deciso di rompere il muro del pregiudizio e nella corsa ai regali per il Natale 2024 mi sono finalmente concesso la libertà di acquistare un bel libro di me*d@ !
Da regalare al Secret Santa, per questa volta.
(Immagine in copertina: Sefa Tekin)
Lavora con i numeri ma ama le parole. Le sue radici affondano nella Magna Grecia, ma dopo aver vissuto in 5 Nazioni su 2 continenti ha molti posti che può chiamare casa. Storyteller wannabe