Nonostante le notizie dell’estate abbiano riguardato temi legati all’economia e alla politica, quali le imminenti elezioni politiche in Italia e la crisi energetica su tutte, un report su fattori di crescita strutturale è passato inosservato.
Infatti, tra gli studi prodotti dal World Economic Forum (WEF), fondazione senza fini di lucro istituita nel 1971 a Ginevra, uno è meritevole di particolare attenzione. Tra i temi trattati da questa organizzazione internazionale troviamo questioni sociali, economiche e ambientali, che coinvolgono i più importanti leader del mondo di istituzioni e settore privato. L’indice Global Social Mobility, sviluppato nel 2020 proprio dal WEF allo scopo di misurare la mobilità sociale intergenerazionale (o ascensore sociale) ha prodotto risultati interessanti. Ma cosa significa veramente “mobilità sociale”? Con questo termine si indicano le possibilità che un figlio di una famiglia a basso reddito ha di migliorare la propria condizione sociale rispetto a quella dei propri genitori.
L’indice costruito dal WEF si concentra principalmente su 5 principali aree socio-economiche: salute, istruzione, tecnologia, lavoro e istituzioni. Rispetto ad altri indicatori sviluppati in ambito accademico, questo indice tiene conto di politiche, pratiche e istituzioni senza focalizzarsi su delle metriche meramente centrate sulle disparità di reddito. Guardando la classifica, le Nazioni leader per l’uguaglianza di possibilità per le generazioni future sono Danimarca, Norvegia, Finlandia, Svezia, Islanda e Paesi Bassi.
La situazione delle economie del G7 è quella che fa più riflettere. La Germania è la prima del gruppo dei grandi a fornire le condizioni più favorevoli per l’ascensore sociale, classificata all’11° posto, seguita dalla Francia al 12° posto. Canada e Giappone non sono molti lontani, rispettivamente in 14° e 15° posizione, mentre il mondo anglofono vede Regno Unito al 21° posto e gli Stati Uniti al 27°. L’Italia è l’ultima del gruppo al 34°posto, registrando una performance peggiore di molte altre nazioni come Cipro, Polonia, Lettonia e Slovacchia.
Come si legge nel rapporto: “La globalizzazione e la quarta rivoluzione industriale hanno generato benefici significativi, ma hanno anche esacerbato le disuguaglianze”. Un fattore profondamente correlato alla parità di accesso alla conoscenza e alle possibilità di avanzamento del lavoro è senza dubbio la qualità dell’istruzione. Confrontando i dati sulla spesa pubblica per l’istruzione, si scopre che i Paesi che si collocano ai primi posti dell’indice sulla mobilità sociale del WEF sono anche quelli che destinano maggiori risorse per l’istruzione primaria e secondaria (in media il 3,6% del PIL – dati OCSE).
Considerato che un articolo non è lo strumento migliore per dimostrare una relazione tra i due fenomeni sociali – un amante della statistica direbbe “il grado di correlazione tra due variabili” – permette comunque di avanzare riflessione su come le scuole stiano plasmando i futuri cittadini e con essi la società di domani.
L’argomento è complesso e ci sono molti fattori interconnessi da esaminare, come l’abbandono scolastico nelle aree critiche del Paese, la discrepanza nella qualità dell’istruzione tra i licei più rinomati e le scuole di periferia, il processo di selezione del personale docente e, non da ultimo, le disuguaglianze nell’accesso a supporti tecnologici da parte degli alunni (aspetto emerso in modo inequivocabile durante la didattica a distanza durante le fasi critiche della pandemia).
Consapevole che le recenti emergenze degli ultimi anni non hanno lasciato spazio a discorsi di lungo periodo, purtroppo il dibattito pubblico tralascia ormai da lungo tempo il tema della qualità dell’istruzione. L’attuale campagna elettorale lo sta dimostrando: la scuola non è il fulcro del discorso di nessuna forza politica in corsa per il governo.
Lo scrittore francese Daniel Pennac, prima di diventare uno scrittore di fama mondiale, è stato insegnante di scuola superiore. Questa sua esperienza ha avuto un ruolo centrale nelle sue opere, e questa citazione individua perfettamente il centro della questione: “Ho sempre pensato che la scuola fosse fatta prima di tutto dagli insegnanti. In fondo, chi mi ha salvato dalla scuola se non tre o quattro insegnanti?”. Spesso sono proprio insegnanti, dirigenti, e personale scolastico a reggere l’intero sistema con singole iniziative, nonostante i limiti strutturali da affrontare quotidianamente. Con l’inizio dell’anno scolastico alle porte, l’auspicio è quello che la visione dell’istruzione cambi davvero, non solo ai fini di qualche classifica.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni