Sabato 7 Dicembre, come la tradizione impone, nel giorno di Sant’Ambrogio, si è tenuta la Prima della Stagione lirica del Teatro Alla Scala di Milano con la Tosca di Giacomo Puccini. Posso affermare con una certa fierezza di essere tra i due milioni e 856mila spettatori che hanno seguito l’evento in diretta su Rai1. Quasi l’apoteosi del patriottismo! In questo, però, io non faccio molto testo, sono un’appassionata di musica classica e di opera. In più per me Tosca è un tuffo nel passato, quando una bambina molto timida ed emotiva faceva parte della cantoria del primo atto. Comunque, non potendo assistere di persona al grande evento, mi sono accontentata dello schermo del mio televisore. I numeri sono stati incredibili, è stata la prima più seguita in assoluto (il 15% di share) e direi meritatamente: interpreti eccellenti con una maestosa messa in scena hanno dato vita ad una Tosca incredibilmente viva. Il direttore Riccardo Chailly dirige una maestosa opera di rara bellezza, che ha lasciato incantato ed estasiato il suo pubblico. Il regista David Livermore ci restituisce Tosca seguendone pedissequamente il libretto, rendendola un’opera noir che non si fa mancare inganni, gelosia, sensualità e morte. Magnifica, in questo senso, la scena finale, in cui il suicidio di Tosca assume una precisione cinematografica. Confesso di essermi molto emozionata, di aver desiderato di essere lì per godere di quell’esperienza, sentirmi parte di un attimo sublime. Quindici minuti di standing ovation alla fine dello spettacolo sono la prova che in questo caso, l’arte è riuscita nel proprio compito: elevare lo spirito di chi ne fruisce. Perché l’arte fa proprio questo: trasporta e conduce lì dove tutto è concesso e il tempo si ferma.
Ancor di più, ciò che mi ha affascinato di questo evento, è stata la partecipazione dei giovani alla “primina” del 5 Dicembre. Non volevo crederci quando, per caso, mi sono imbattuta in alcuni video in cui, centinaia di miei coetanei, hanno passato la notte fuori il teatro scaligero per acquistare il biglietto. Certamente assistere ad una prima alla Scala è un motivo di vanto, una storia da raccontare, ma non avrei creduto si potesse verificare una tale, bellissima, rivelazione: ai giovani piace ancora andare a teatro, interessa la lirica e Giacomo Puccini.
La partecipazione, così accorata, del pubblico Under30 è un segnale che non bisogna trascurare e che ha bisogno, di essere ripetuto. Se Paolo Grassi nel 1946, in un’Italia straziata dal secondo conflitto mondiale, parlava di “teatro bene pubblico” auspicando provvedimenti di ordine strutturale ed economico, nel 2019, bisogna ritornare a quest’idea.
Avvicinare i ragazzi al teatro, alla lirica, nostro patrimonio, significa far riscoprire loro la bellezza smarrita di un paese ormai privo di certezze; significa mostrare la grandezza di una forma artistica ritenuta, per troppo tempo e ingiustamente, prerogativa di una platea ristretta ed elitaria. Le manovre culturali non sembrano incentivare molto la crescita del settore, ma certamente qualcosa si è mosso nelle politiche dei prezzi: tariffe accessibili agli under26 o under30 (dipende dai teatri), spettacoli riservati, accrediti per studenti. Si cammina a passo doppio anche nelle scuole, in cui l’attenzione verso questo mondo sembra essersi allargato e aver invaso più spazi. I tentativi, seppur labili, di avvicinare le nuove generazioni al teatro, sono stati fatti e sembrano continuare a crescere, ma ci sarebbe bisogno di azioni trasversali che coinvolgano più ambiti e agisca praticamente. Istituzioni, politica e operatori culturali dovrebbero, in sostanza, lavorare in sinergia. L’approccio con la lirica dovrebbe essere, però, più strutturato, in quanto può essere comprensibile e ragionevole che risulti noiosa e ostica.
Bisognerebbe favorire l’ingresso in un’ottica in cui si comprende che l’opera racconta storie di ragazzi e ragazze ribelli, scontenti della vita restrittiva e opprimente che sono costretti a vivere. Si parla di piccoli eroi che non stanno al gioco, si oppongono e fanno di tutto per ottenere lo spazio e libertà che gli appartiene. Alla fine, di solito muoiono, ma l’opera li ricorda affinché ci siano altri come loro che sentano e facciano proprio quell’urlo di protesta divenuto canto. Avvicinarsi alla lirica significa non sentirsi soli o schiacciati, e realizzare di avere voce in capitolo. L’opera ci mostra le nostre radici, così come i sentimenti e i valori che hanno attraversato e tuttora attraversano le generazioni e che, inevitabilmente, le uniscono. Conoscere l’opera fin da piccoli per continuare a passarci questa fiaccola, al fine di preservarla per il prossimo tratto di strada e alimentarla con la nostra immaginazione e visione delle cose. Sarebbe bello ritornare ai tempi in cui per le case riecheggiavano le arie di Verdi, Puccini, Rossini. Riscoprire la lirica sarebbe come sfogliare un atlante delle passioni umane da cui si può sempre attingere e imparare: la gelosia di Tosca, l’idealismo di Cavaradossi, la spietatezza di Scarpia. Sono questi gli elementi che rendono l’opera un’occasione per riscoprirsi più umani e più italiani, senza che questo comporti nulla di male.
L’attenzione che le autorità e la politica dovrebbero investire in questo campo necessita di un incremento, di una incentivazione maggiore e soprattutto di una comunicazione che faccia di momenti come l’opera un’occasione di crescita e confronto. Sarebbe bello pensare a tante “primine” sparpagliate per tutta l’Italia, con tanti giovani in coda, alcuni spaesati e annoiati, altri eccitati e sovraccarichi; sarebbe bello pensare ad un teatro che unisce tutti rendendosi accessibile economicamente e strutturalmente.
Ci sarebbe davvero tanto su cui lavorare, ma i piccoli fari di speranza ci sono e sono luminosissimi. Io mi auguro solo di poter essere, molto presto, una giovane in coda per il suo biglietto in via dei Filodrammatici, che si emoziona per “Vissi d’Arte” e per “E lucevan le stelle”.