DIARIO DI UN ERAMUS – GIORNO 2

UNIVERSITA’

Il lunedì mi presento alla sede dell’università con discreto anticipo.
Mi guardo attorno prima di entrare. Il quartiere è un cantiere continuo. Ruspe e gru stanno innalzando orribili palazzi e grattacieli a specchio. Le grida delle guide turistiche italiane, i venditori di fumo e alcol, i “Bangla” (come vengono chiamati i negozi etnici dalle mie parti), le sbiadite bandiere indipendentiste, appese ai balconcini con i lacci ormai marci, sembrano di un altro pianeta.

Entro, seguendo un gruppo di ragazzi tedeschi. Scendo una scalinata all’interno di un cortile e mi ritrovo davanti una lunga fila di studenti Erasmus. Cerco di non far riconoscere fin da subito le mie origini e mi metto ordinatamente in fila. “Ao, dovemo fa a’ fila?”. Le onde sonore dell’“Ao” pronunciato con l’allargamento vorace della bocca, mi fa sentire più a mio agio. Non mi volto neanche, preferisco evitare la classica scena degli italiani che si scoprono fratelli in terra straniera.

PRESENTAZIONE

La fila procede e viene il mio turno. Con uno spagnolo stentato riesco a dare le generalità. Mi dirigo poi verso l’aula magna per la presentazione del progetto Erasmus. Prendo posto mentre una ragazza inglese sta descrivendo animatamente la casa che ha affittato: bagno minuscolo, stanza senza finestra, cucina senza forno e salotto senza divano. Ho sentito ex detenuti del Regina Coeli lamentarsi di meno, ma lo trovo comunque divertente.

Quella, in effetti, fu l’ultima cosa divertente. Seguono due ore di spiegazioni alternate in castillano e catalano. Una interminabile rottura di anima dall’inizio alla fine. La storia di Barcellona dai primi insediamenti romani; le pratiche burocratiche; il sistema telematico dell’Università; docenti, studenti, associazioni di studenti, associazioni di studenti stranieri, associazioni di studenti stranieri ma non troppo stranieri. Non ce la faccio più, preferisco che un “mattone polacco minimalista di scrittore morto suicida giovanissimo” cada fragorosamente sul mio inguine, piuttosto che stare ad ascoltare ancora un minuto.

Mi guardo attorno. I più coraggiosi combattono contro la noia e l’effetto soporifero cambiando continuamente posizione come un fumatore accanito in preda ad astinenza; i più sfacciati abbozzano indegnamente una dormiveglia.

ISCRIZIONE

Finalmente la presentazione giunge al termine. L’atmosfera si risveglia come il paese il dì di festa.

Fuori dall’aula ci aspettano, con falsi sorrisi da trentadue denti dei ragazzi delle associazioni per studenti Erasmus, vogliosi di farci entrare nella loro cerchia di alcol a basso costo, attività culturali e discoteche dalle scelte musicali opinabili.

Decido di iscrivermi, nonostante tutto. Sia mai che possa conoscere qualcuno (o meglio, qualcuna) interessante. Quella iscrizione, come avevo potuto immaginare, sarebbe stata l’inizio del delirio avventuroso che Barcellona aveva in serbo per me.

Paolo Claudio Ratti
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Torinese, laureato in giurisprudenza, mite di natura e polemista per vocazione. Amo il cinema quando cala l’oscurità, gli scalatori che salgono sui pedali e le allitterazioni che allettano gli allocchi. Scrivo, con solerte pigrizia, di sport.