La chiamata alle urne del 20 e del 21 settembre ha registrato 25 milioni di votanti in tutta Italia. Un’affluenza insperata tenuto conto del contesto epidemiologico. Se qualcuno auspicava ad un trend di rinnovato vigore partecipativo, riecco che il balletto intorno alla legge elettorale è pronto a traghettare nuovamente gli animi degli italiani tra le nebbie del qualunquismo.
Il via libero alla riforma elettorale era la condizione posta da Zingaretti per votare sì al referendum. I 5stelle avevano acconsentito impegnandosi a garantire un percorso rapido nella prima commissione Affari Costituzionali prima e poi in aula. Accordo sancito il 10 settembre, quando il testo base ottenne l’assenso di Pd e 5stelle.
Se Pd e 5stelle sono d’accordo nel votare un testo che preveda un sistema proporzionale alla tedesca con soglia la 5%, Renzi al contrario si oppone e nell’aria si intravede voglia di maggioritario.
“Il proporzionale non consente agli elettori di conoscere chi ha vinto la sera stesse delle lezioni” ovvero non è un sistema che dà ai cittadini il potere di decidere chi governa, dice Renzi. È una bizzarria tutta italiana che le ragioni addotte oggi da Italia Viva per sganciarsi dall’accordo sul proporzionale siano le stesse che nel lontano 93 diedero il via alla stagione bipolarista inaugurata da Silvio Berlusconi.
Ad una faccia corrisponde una proposta si diceva all’epoca. All’indomani dell’approvazione del sistema maggioritario, il Mattarellum, sono nate due grandi coalizioni che hanno scelto, prima delle elezioni, chi sarebbe stato il capo del governo. Sconfitta la proposta, la faccia si fa da parte. Nel 1994 Berluscon-Occhetto, nel ‘96 Berlusconi-Prodi, nel 2001 Berlusconi-Rutelli, nel 2006 Berlusconi e Prodi e cosi via. Il ‘93 non vide soltanto la fine del maggioritario, ma di un sistema politico. Da quel momento in avanti sarebbero nate due grandi colazioni, che avrebbero scelto, prima del voto, chi sarebbe stato il capo del Governo. I partiti, durante la campagna elettorale, hanno preso ad enfatizzare la propaganda intorno al candidato premier, mettendo il suo faccione nei manifesti elettorali ed il suo nome nei simboli che gli elettori trovavano sulla scheda elettorale. La propaganda all’epoca è stata “via il proporzionale, è il popolo che sceglie”, oggi recita “via il proporzionale, perché alimenta la logica dell’inciucio”.
Riflettendo su questo excursus non è allora una bizzarria tutta italiana che in un centrodestra che fa quadrato intorno al maggioritario, siano proprio Berlusconi e Forza Italia ad aprire al proporzionale lanciando il sasso nello stagno?
Quello che l’excursus di cui sopra rivela non sono soltanto le giravolte e i cambi di marcia dei volti politici nostrani, ma anche che la logica di funzionamento di un sistema democratico dipende dal combinarsi delle sue componenti. L’assetto istituzionale serve ad organizzare la sovranità elettorale e le istituzioni elettorali incanalano la sovranità all’interno dello stato.
Ecco spiegata la ragione per la quale le rose e le spine delle riforme costituzionali passano anche per la riforma delle leggi elettorali.
La proposta di revisione costituzionale Renzi Boschi del 2014 prevedeva il superamento del bicameralismo paritario, intervenendo con una radicale riforma del Senato, che avrebbe concorso paritariamente con l’altra camera all’attività legislativa solo in pochi determinati casi. Il problema per i sostenitori del no non era la riforma del Senato fine a se stessa, ma il combinato disposto con la legge di riforma elettorale, l’Italicum, che con un premio di maggioranza significativo, il doppio turno e i capolista bloccati nei collegi uninominali depauperava il Parlamento a favore dell’Esecutivo ed attribuiva un premio di maggioranza abnorme ad una lista, che inserita in un sistema tripolare, non rappresenta la maggioranza degli elettori ma soltanto la più forte delle minoranze.
L’Italicum imbrigliava il paese in una cornice bipolare, e non rischia di fare altrettanto oggi la scelta maggioritaria nella cornice nostrana che non potrebbe essere più tripolare tra Pd , m5stelle e centro destra? La ragione per la quale Zingaretti aveva fatto del proporzionale una condicio sine qua non per il si alla riduzione dei parlamentari, è che con un parlamento più piccolo senza il proporzionale, che offre una rappresentanza più equa ed un legislativo che ha il compito di dar voce a tutte le opzioni politiche presenti nella società, si rischia il venir meno del legame tra elettori e loro rappresentati ed un ritorno in auge di quelle modalità decisionali verticistiche che sono state bocciate dagli elettori col referendum del 2014.
Se intorno alla legge elettorale albeggia un clima di lotte intestine si rischia di alimentare da una parte un sentimento di frustrazione generato dalla disaffezione e dall’isolamento del cittadino rispetto ad una politica chiusa nei suoi sofismi ed impermeabile all’ascolto dei problemi “veri” delle persone, dall’altra un sentimento di indignazione che viene intercettato dai populismi che offrono la democrazia diretta e che si traduce quindi in un rifiuto dell’intermediazione politica.
È forse un caso che Grillo, proprio questi giorni, torni a tuonare che “uno vale uno”, e che questo sistema elettivo complicato, imperfetto e logoro, tanto varrebbe barattarlo con il sorteggio?
Ed ha ragione quando dice che la politica è complicata: è gran confusione, discussione, e fatica di tenere insieme interessi diversi. Sarebbe bello, però, che qualcuno gli rispondesse che politica, quella rappresentativa, è anche il genio di trovare una sintesi tra queste cose diverse. È la democrazia, bellezza!
Alessandra Cascone