Siamo una razza in espansione, siamo così tanti che neanche basterebbero tutte le nostre mani e dita per contarci.
Noi fuori sede siamo una nuova tribù che sta colonizzando lentamente ogni piccola parte di mondo.
Siamo quei ragazzi che, finiti gli studi, per un motivo o per un altro, hanno impacchettato le proprie cose, le hanno infilate in una valigia e sono andati via.
Via, verso una nuova avventura, che all’inizio, ci faceva tanta, ma tanta paura.
Paura di fallire, di non essere capaci di affrontare questa sfida enorme che ci siamo lanciati.
Poi, chissà come mai, ad un certo punto quella paura è svanita, lasciando spazio alla consapevolezza di essere cresciuti.
Ogni tanto mi fa strano pensare alla mia vita divisa tra due luoghi, alle cose che ho lasciato a casa, alle persone che vedevo ogni giorno che adesso chissà dove sono.
Ognuno di noi è partito con un bagaglio sulle spalle, e pian piano, con il passare degli anni, questo bagaglio si è alleggerito, il posto in cui ti sei trasferiti diventa un po’ tuo, e lo vivi come se fosse casa.
E quando torni nella tua città natale, respiri aria fresca, rivivi palazzi che profumano di antico, avverti tutti i rumori che un tempo erano così consueti, come fossero nuovi.
Ritrovi i tuoi vecchi vestiti, quelli tropo stretti che mettevi sempre, o quel paio di scarpe da ginnastica che hai usato così tanto da sfaldare tutte.
Improvvisamente, il luogo in cui sei cresciuto diventa nuovo, e si trasforma in un piacere scoprire cosa è cambiato, vedere se la panchina su cui ti sedevi all’uscita da scuola si trova ancora nello stesso posto o è stata spostata, se l’alimentari sotto casa ha ancora la stessa sbadata cassiera.
Ricostruisci la tua vecchia vita arricchito di esperienze vissute fuori di lì, e tutto diventa quasi più bello, perché apprezzi la calma di quei luoghi, la familiarità di certe abitudini.
Perché a casa tua, con mamma e papà, non devi fare la spesa, non devi pulire le stoviglie o la tua camera, cambiare le lenzuola, fare il bucato, stenderlo e stirarlo; non devi cucinare, non devi rimanere digiuno, non ti devi accontentare.
Apprezzi la pasta al sugo fresco col parmigiano, perché quel sugo tu non riesci a farlo così buono; riscopri il piacere di stare seduto a tavola o al divano con i tuoi genitori, nonostante certe domande ti infastidiscano ancora; ti ricordi quanto fosse bello trascorrere le giornate con i tuoi amici di sempre, a discutere su cosa avreste fatto “di diverso” quella sera.
Ti rendi conto di quanto, in realtà, tutte quelle cose che un tempo ti sembravano uguali, assumano ogni volta una sfumatura diversa, e ne sei stranamente grato.
I ricordi affollano la tua mente, ritorni bambino e adolescente, realizzando quanto fossero davvero belle certe abitudini.
E così, quando ritorni alla vita vera, quella fatta di università e doveri, senti nostalgia di tutte quelle cose di cui un tempo volevi liberarti.
Però, impari anche ad apprezzare la quotidianità che ti sei costruito vivendo da solo, e quindi anche il tuo modo di fare la spesa (solo con le offerte, sia chiaro), di pulire (solo se strettamente necessario), di cucinare (se proprio il tuo coinquilino non dovesse farlo anche per te).
Ti dedichi anche in attività che prima neanche concepivi, come l’andare a correre nel parco, passeggiare a vuoto, andare al mercato delle pulci o al museo.
Quando cammini nelle strade della tua “nuova” città, ti sembra quasi di ricercare i luoghi in cui hai vissuto, provi a ricostruire la tua vita come era prima, solo che in un posto diverso.
E allora, anche i palazzi del tuo quartiere somiglieranno un po’ a quelli da cui provieni, anche la piazza in cui incontri adesso i tuoi amici ti sembra quella di sempre.
Inconsciamente, ricostruisci nuove abitudini simili a quelle vecchie, nonostante appaiano così diverse.
Ma nonostante sia tutto così differente, ti accorgi che chi è cambiato in realtà sei tu.
Ti guardi dentro e ti riscopri una persona migliorata (si spera), con qualcosa in più.
Essere fuori sede mi ha insegnato a non dare niente per scontato, a non scordarmi di niente o di nessuno.
Mi ha ricordato il valore della famiglia, delle amicizie, dei rapporti umani nel vero senso della parola.
Essere fuori sede non è però sempre così facile, perché molto spesso capita che mi chieda “ma che ci sono venuta a fare qua?” e allora penso che non ne valga la pena.
Mi viene voglia di chiudere questo capitolo e tornare da dove sono venuta, dove è tutto più facile.
Eppure, ho dimostrato a me stessa che posso farcela, che posso contare sulle mie forze e proseguire.
Mi piace essere fuori sede perché una vita vissuta tra due luoghi mi ha fortificata, mi ha fatto crescere, mi ha dimostrato che posso farcela.
Essere fuori sede mi ha dato la possibilità di vivere una esperienza di vita senza la quale non sarei completa, perché mi sarebbe mancato qualcosa.
E’ così che siamo diventati cittadini di un mondo, che non vedo l’ora di scoprire.
Perché poi, in un modo o nell’altro, ci sarà sempre un posto che potrò chiamare casa e non importa quanto lontano sia, perché so che sarà sempre lì, ad aspettarmi.
Nata a Cosenza nel 1994, vive da sette anni a Roma. Laureata in Filologia Moderna, attualmente tenta di rendere produttiva la sua laurea seguendo un Master e facendo tutti i lavori possibili.
Ama la musica, viaggiare, la vita la coinvolge totalmente e vorrebbe scoprire il mondo.
La sua passione più longeva è sicuramente la lettura, il primo libro che ha letto è “Giovanna nel Medioevo” e ha pianto senza ritegno dopo aver terminato “La piccola Principessa”.
Incapace e negata per ogni tipo di sport (ma è fiera di aver praticato basket per una settimana), ama correre con le cuffie nelle orecchie e camminare per tutta Roma.
Il suo gruppo preferito sono gli Oasis, e mentre spera che tornino insieme, immagina sempre come sarebbe la sua vita se la smettesse di sognare ad occhi aperti.