Il 20 e 21 maggio, a Milano, si è svolto Accessibility days, un grande evento nazionale che pone l’attenzione sulla possibilità e facilità di utilizzo delle tecnologie digitale da parte delle persone con disabilità.
L’evento è stato organizzato da Uici (Unione Italiana Cechi e Ipovedenti), Universal access (portale dedicato all’accessibilità digitale) e DevMarche, il network delle comunity marchigiane dedicate allo sviluppo software ed altri enti legati al mondo digitale. Ha ricevuto il patrocinio, tra gli altri, di Rai per il Sociale e ha visto la partecipazione di Inail e dell’Ente Nazionale Sordi.
Oltre 40 sessioni, 60 speakers, 20 espositori e tante esperienze come la cena e la passeggiata al buio, mostre tattili e tanta condivisione, per un’edizione che torna in presenza all’Istituto dei Ciechi di Milano in forma gratuita riunendo sviluppatori, startupper e grandi aziende, tutti pronti a portare esempi di nuove tecnologie che rendano il mondo digitale più accessibile e inclusivo. Ne abbiamo parlato con gli organizzatori, Stefano Ottaviani e Michele Landolfo.
Come è andato l’evento?
«Siamo molto soddisfatti, in presenza abbiamo avuto 630 persone e c’è stata grande partecipazione. Ci hanno fatto molto piacere i numerosi feedback che abbiamo avuto dai giovani: 2000 iscritti online, decine e decine di post su Linkedin dopo l’evento e riscontri da Gucci, Microsoft, Google e altre importanti aziende. Un successo insomma sia per gli espositori che per i workshop».
«Il riscontro da parte dei giovani è particolarmente importante» hanno sottolineato gli organizzatori, «perché loro sono il futuro. Si è parlato, a questo proposito, di formazione, che risulta oggi carente sui questi temi, anche se pian piano le cose stanno cambiando. Segnaliamo su questo la partecipazione, ad esempio, del Politecnico di Milano che sta portando avanti dei percorsi su questi argomenti».
Molta attenzione, naturalmente, è stata prestata all’accessibilità della manifestazione. Ricordiamo le mascherine trasparenti, la sottotitolazione delle tre sezioni che sono state registrate e trasmesse in streaming e la traduzione nella lingua dei segni delle tre track di sessione, insieme ad alcuni workshop.
«In ogni edizione» ribadiscono Ottaviani e Landolfi «cerchiamo di fare un passo in più per l’accessibilità».
La manifestazione ha visto il coinvolgimento del CNR dell’AGID (Dipartimento trasformazione digitale) che ha il compito di vigilare, monitorare e supportare nel migliorare l’accessibilità ditale della pubblica amministrazione secondo la legge del 9 gennaio 2004. Cosa ancora c’è da fare?
«Nonostante l’Italia abbia delle leggi molto stringenti su questo tema, pensiamo per esempio alle regole per le piattaforme dei concorsi pubblici, Agid ha fornito i dati sull’accessibilità digitale, mettendo in evidenza gli errori più frequenti legati all’uso dei file pdf da scaricare, il contrasto di colori, ecc., su cui bisogna intervenire».
La manifestazione ha visto incontrarsi associazioni, sviluppatori, aziende start up in modalità ibrida, facendo riassaporare il valore dell’incontro, del confronto, immergendo tutti in esperienze nuove ed emozionanti. Gli Accessibility days sono stati, perciò, una grande occasione per provare a disegnare il futuro, sempre più connesso, dove ogni aspetto della nostra vita sarà condizionato dalle nuove tecnologie; dalla formazione, al lavoro, al tempo libero, aspetti questi analizzati a Milano in un’atmosfera di festa e di fattiva speranza in un avvenire più inclusivo. Tuttavia, questo non è stato un evento dedicato solo alle tecnologie, ma soprattutto alle persone e a tutti coloro che si dedicano ogni giorno ad avvicinarle sempre di più a noi, alle nostre esigenze.
Pensiamo, per esempio, a Airbnb che sta cercando pian piano di “educare” gli host, cioè privati cittadini, a rendere le loro stanze sempre più accessibili. Partecipare, quindi, al lento cambiamento culturale verso la vera inclusione che non vuol dire altro che lavorare per creare una comunità pronta a cambiare passo e ritmo per accordarlo ai tanti diversi ritmi della vita. Ricordiamo sempre che le tecnologie rappresentano un supporto a tante attività, ma non devono sostituire il lavoro dell’uomo e le relazioni umane, che sono alla base dell’inclusione stessa che apre più strade per arrivare alla stessa meta.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni