Come cambiano le abitudini alimentari grazie alla Tecnologia

La Pasqua ormai alle spalle ha riacceso il dibattito riguardo le nostre scelte alimentari. Tradizionalmente, il pranzo pasquale include come portata principale l’agnello, scelta che, da qualche anno a questa parte, è stata molto criticata non soltanto dalle associazioni animaliste in prima linea per la difesa dei diritti degli animali, ma anche da tante persone che si stanno muovendo verso un consumo alimentare più attento alle attuali esigenze del pianeta.

Si sa che le risorse della terra vengono sistematicamente esaurite prima della fine dell’anno. Nel 2022, l’Earth Overshoot Day, il giorno in cui le risorse che la terra ha a disposizione per l’anno in corso, si sono esaurite il 28 di luglio. Questo significa che, fino alla fine dell’anno, abbiamo sovrautilizzate risorse che avrebbero dovuto essere destinate all’anno successivo.

Per il 2023, l’Earth Overshoot Day è stimato per il 27 di luglio, un giorno prima rispetto all’anno precedente: questo indica che, se non agiamo subito modificando le nostre abitudini, ci spingeremo sempre più verso l’erosione delle risorse a disposizione. È vero che l’impatto maggiore l’avrebbero le industrie e i governi, responsabili di attuare delle politiche attente all’ambiente e con uno sguardo lungimirante verso il futuro che ci aspetta; ma anche noi possiamo fare la nostra parte con piccole, ma efficaci scelte quotidiane.

Una delle abitudini da modificare parte dalla tavola, ovvero dal modo in cui consumiamo il cibo. Oltre ad assicurarsi prodotti provenienti da filiere di produzione controllate, ortaggi di stagione e frutta a km zero, ultimamente, l’enfasi dei media è stata sempre più posta su alternative al consumo di carne. Per gli affezionati “carnivori” questa sembrerebbe un cambio di abitudine duro da affrontare. Ormai sia sul web che nelle librerie e nelle riviste, spopolano ricette vegetali, vegane, con tante pietanze che ripropongono varianti di piatti tradizionali sostituendo la carne ad alternative vegetali, proteine animali con proteine vegetali, varie tipologie di latte vegetale, ma non solo: ci si può spingere molto più in là fino a trovare soluzioni alternative con ricette che propongono l’uso della così detta “carne artificiale”. Questo perché, per abituare il consumatore, potrebbe non essere sufficiente proporre un hamburger di melanzane o zucchine; e se questa pietanza, che siamo abituati a consumare, potesse avere lo stesso aspetto, lo stesso sapore della vera carne senza esserlo?

Qualche anno fa, in California, è stato creato “l’impossible burger”, un hambuger creato in laboratorio, ma dall’aspetto così simile all’hambuger tradizionale, da riuscire ad ingannare persino l’occhio del carnivoro più irriducibile. Da allora, sul mercato, la disponibilità di “carne non carne” si è moltiplicata. Specialmente in Inghilterra, è facilissimo trovare bacon, salsicce, persino “salse alla bolognese” dall’aspetto identico al prodotto originale, con la sola differenza di essere a base completamente vegetale. Ma questo, potrebbe generare confusione agli occhi dei consumatori? In Italia, dove tantissimi prodotti sono a marchio Igp e non si contano le eccellenze gastronomiche a base di carne, è giusto proporre articoli vegani con lo stesso aspetto? L’attuale governo sembrerebbe pensare di no: recentemente è stato espresso un parere negativo riguardo la coltivazione della carne in vitro, ritenuto un metodo produttivo più inquinante rispetto ai tradizionali allevamenti intensivi. In realtà, secondo uno studio dell’Università di Berkley, smettere (o almeno ridurre) la produzione di carne così come siamo abituati a pensarla, potrebbe addirittura salvare il pianeta con una riduzione annuale delle CO2 pari al 68%. Secondo lo studio, l’eliminazione graduale degli allevamenti porterebbe in 15 anni alla riduzione di oltre il 30% delle emissioni totali di metano a livello globale. La carne artificiale, però, è davvero sicura? Molti sono gli scettici che preferiscono i metodi tradizionali tacciando la carne in provetta come una soluzione che potrebbe avere effetti negativi sulla salute. In realtà, un’argomentazione interessate, è posta dall’articolo disponibile sul blog di essere animali, dove, in modo provocatorio, si sostiene che “la carne che siamo abituati a mangiare è già fake”.

In effetti, la carne che troviamo in supermercato, proveniente dagli allevamenti intensivi, non ha nulla di “naturale”. Basti pensare alle condizioni in cui sono costretti a vivere gli animali da allevamento per interrogarsi se non sia davvero la scelta migliore quella di incoraggiare un sistema di sfruttamento selvaggio che non ha alcun rispetto per gli animali e che, a conti fatti, potrebbe non essere la scelta più salutare neanche per noi. Forse, per sensibilizzare il pubblico, servirebbe una maggiore informazione che porti alla luce le opportunità e sfati anche i miti negativi che aleggiano intorno alla carne coltivata. Secondo la FAO e l’OMS, è necessario puntare sulla ricerca e quindi predisporre ingenti investimenti volti al perfezionamento di queste carni sintetiche che sul lungo periodo potrebbero essere una valida alternativa ai piatti creati per come siamo abituati oggi. La ricetta sembrerebbe migliore comunicazione e migliore comunicazione scientifica sui progressi fatti e quelli ancora da compiere, abbinata a un impegno concreto da parte dei governi per puntare ad incrementare gli investimenti nella ricerca.

A Singapore, la carne coltivata è già in vendita ed in America l’FDA ha approvato i processi produttivi di due aziende che presto metteranno in vendita prodotti a base di carne sintetica. In Europa, l’ente che si occuperà dell’approvazione alla commercializzazione della carne sintetica sarà l’EFSA – European Food Safety Authority – e, tra qualche anno, potrebbero essere disponibili molti più prodotti a marchio UE creati a partire dalla carne sintetica. In questa corsa, la posizione dell’Italia sembra ancora diffidente. Ci metteremo in pari con gli altri Paesi o preferiremo restare affezionati ai vecchi modelli produttivi?


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni