La centralità del visitatore è la chiave per il rilancio dei luoghi di cultura
L’emergenza sanitaria da COVID-19 degli ultimi anni ha imposto un profondo (e repentino) ripensamento dei percorsi e dei processi culturali in Italia e nel mondo. Le misure di contenimento del contagio hanno infatti considerevolmente influenzato l’accesso fisico ai luoghi e alle risorse della cultura, stimolando la migrazione verso strumenti telematici e virtuali che consentissero di implementare forme alternative di fruizione. Mantenere vivo il circuito della cultura anche nel delicato contesto della pandemia ha rappresentato una sfida di non poco rilievo, affrontata con un ventaglio multiforme di iniziative (virtual tour, incontri ed eventi online, esperienze di visita da remoto, realtà virtuale), coronate da risultati complessivamente incoraggianti. Negli ultimi mesi, con la graduale razionalizzazione delle misure di contenimento e il conseguente ritorno alla agognata normalità, la sfida è diventata quella di riattivare il più efficacemente e velocemente possibile i luoghi della cultura e, più in generale, le risorse culturali, garantendone così la loro formazione, fruizione e condivisione. Infatti, il ritorno in presenza con sempre minori vincoli ha costituito e costituisce uno snodo fondamentale per instillare nuova linfa nel circuito della cultura e sventare il rischio di una pericolosa necrosi a macchia di leopardo, soprattutto a danno delle realtà periferiche e locali. In questo contesto, il ritorno alla normalità ha aperto (o forse ri-aperto) il difficile dibattito su quale direzione dare ai luoghi e alle attività culturali nel prossimo futuro per garantirne uno sviluppo sostenibile. Quanto ai luoghi della cultura, incombe, soprattutto sulle realtà locali, il pericolo della desertificazione, complici il disinteresse del grande pubblico e proprio la (insidiosa) fruibilità online di alcune risorse surrogate.
Per superare l’impasse, occorre considerare i luoghi della cultura (in particolare le realtà museali) non come semplici contenitori di oggetti-beni-eventi, bensì come attivatori, catalizzatori, “acceleratori” culturali. È significativo che la Convenzione di Faro, recentemente ratificata in Italia, guardi alla cultura non soltanto nell’insieme dei beni fisici, ma aprendosi a ventaglio anche alle attività e soprattutto ai processi culturali, interessandosi per la prima volta in maniera organica della creazione di una nuova identità culturale. I luoghi della cultura sono oggi chiamati a magnetizzare questi processi, valorizzando a tal fine la partecipazione della comunità locale, degli enti no profit, dei flussi turistici, delle realtà scolastiche e accademiche. Non è infatti più sufficiente (né economicamente sostenibile) concentrarsi sull’attività passiva di esposizione: bisogna invece coinvolgere il visitatore e renderlo protagonista dell’esperienza. La maggior parte dei luoghi della cultura, soprattutto locali, richiede oggi, a maggior ragione nell’era post-pandemica, approcci creativi e interattivi per stimolare l’interesse dei visitatori e prevenire così derive necrotiche. C’è, in sostanza, la necessità di creare un’offerta culturale più complessa e organica, sempre diversa, per richiamare costantemente l’attenzione del pubblico. Altrimenti, il rischio è di non guadagnarsi mai una seconda visita e, una volta esaurito un così ristretto bacino di ospiti, fossilizzarsi. Con questo spirito, sono sempre di più i luoghi della cultura (in particolare i musei) che ospitano attività aperte alla partecipazione del pubblico, ad esempio mostre interattive, laboratori, esperienze immersive, spazi per artisti emergenti, eventi (anche musicali), per garantire un’offerta sempre più coinvolgente e innovativa. Altre realtà ospitano poi attività di scuole e di università: corsi, seminari, approfondimenti tematici. All’ombra di queste complesse questioni, un’altra, fondamentale sfida per il circuito della cultura in questa delicata fase storica riguarda poi il patrimonio culturale immateriale, ossia le pratiche, le espressioni, le conoscenze – anche non incorporate in oggetti fisici – che costituiscono espressione di cultura: tradizioni, eventi, ricorrenze, arti, pratiche. Si tratta di valori identitari messi inevitabilmente in sofferenza dalla pandemia e dalle misure di contenimento del contagio (si pensi all’annullamento del Palio di Siena nel biennio 2020-2021, ma anche alla difficoltà nel trasferire alcune narrazioni popolari e certe arti), che devono ora essere riattivati con un ritrovato spirito di compartecipazione e di condivisione.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni