Caro Lucio,
questa è la prima volta in 25 anni che Ti parlo, ma ho l’impellente necessità di ringraziarTi.
Grazie perché sovente, da quando Ti conosco, mi sono accorta di “Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e, poi, ritrovar(m)i a volare”.
Il nostro primo incontro è avvenuto circa vent’anni fa, quando papà mi lasciava scegliere le canzoni da cantare a squarciagola prima di fare la mia entrata gloriosa alle porte del kindergarden.
Ricordo bene ancora la copertina: era un album grosso, bianco, Lucio Battisti vol. 1, vol. 2 e vol. 3.
Non so quante canzoni contenesse, credo una sessantina: io le conoscevo tutte, a memoria, a quattro anni.
Fra tante, mi rimase subito impressa nella mente “La Luce dell’Est”, perché fra tutte le parole di quella poesia, non mi contenevo quando sentivo:
“Dimmi perché ridi amore mio
proprio così buffo sono io
la sua risposta dolce non seppi mai!”
Buffo: mi sentivo buffa anche io, e ridevo, ridevo, ridevo.
Alla radio c’era un signore, c’eri Tu, che pensavi di essere buffo come me.
Solo qualche anno più tardi compresi che pensavi di esser buffo per amore. Quell’amore che hai cantanto, recitato, raccontato, insegnato a tutti noi.
Emozioni: è questo che mi dai.
Grazie Lucio, e non posso non ringraziarTi proprio oggi, nel ventunesimo anniversario della Tua tragica e improvvisa morte.
Per me sei un mito, e come ogni mito non sei mai morto.
Proprio ieri ho cercato di scoprirne di più sulla Tua dipartita, ma online c’è poco da leggere. Mi sono però imbatutta in questa Tua presentazione:
“Abile chitarrista e perfezionista, noto anche per l’attenzione ai dettagli e la cura quasi maniacale che dedicava agli arrngiamenti e agli accordi. La sua produzione ha impresso una svolta decisiva al pop/rock italiano: da un punto di vista strettamente musicale, Lucio Battisti ha rivoluzionato e personalizzato in ogni senso la forma della canzone tradizionale e melodica, spesso combinandola con sonorità e ritmi tipici di svariati generi, riuscendo costantemente a rinnovarsi e ad addentrarsi con versatilità ed eclettismo nel rhythm and blues, prog rock, elettropop, latina, arrivando a toccare anche la new wave, la disco music, il folk, il soul, il beat e altro ancora.”
Ho scoperto che a casa Tua la musica non era vista di buon occhio e hai dovuto lottare contro Tuo padre per poter vivere la Tua Avventura (che non poteva – certamente – essere soltanto una primavera), e dopo i primi imprevisti hai stravolto la musica italiana, affermandoti pioniere nel panorama musicale degli anni 70, anche grazie alla magica collaborazione con Mogol, Tuo amico e collega.
Grazie Lucio, perché aldilà dei commenti circa le vicende personali, familiari e politiche, che si tramandano sulla Tua persona, io venero l’artista che in Te.
Ricordo un’intervista in cui un ragazzo dal pubblico Ti chiese se Ti sentissi originale: “No, mi sento Lucio Battisti” – hai saggiamente risposto.
Un artista vero è, secondo me, qualcuno che ha dentro delle verità e ha bisogno di trasmetterle al suo pubblico, per evitar di
“esser preda
di facili entusiasmi e ideologie alla moda”.
E Tu, almeno con me, con una bambina cresciuta sulle Tue note grazie ad un padre malato di musica anni 70, ci sei riuscito!
Sei riuscito a descrivere il sentimento più cantato da tutti gli artisti mondiali da sempre, dandogli la Tua accezione: la ricerca dell’amore è ciò che conta più nella vita, la dimostrazione che amare è quando negli altrui “occhi innocenti posso ancora ritrovare il profumo di un amore puro”.
E’ un sentimento controverso, che ferisce, ma nelle Tue strofe l’amante è un uomo che lotta e non si lascia affaticare dalla lotta, che non si perde d’animo anche quando il destino gli si mette contro:
“È troppo grande la città per due che come noi non sperano, però si stan cercando.”
L’amante che racconti Tu ci crede, non smette di sperare, proprio quando dice:
“Posso stringerti le mani? Come sono fredde, tu tremi, no, non sto sbagliando, mi ami, dimmi che è vero.”
Perché quando:
“Nasce il sentimento, nasce in mezzo al pianto e s’innalza altissimo e va, e vola sulle accuse della gente, a tutti i suoi retaggi indifferente, sorretto da un anelito d’amore, di vero amore.”
Hai insegnato a vivere d’amore perché
“che non si muore per amore, è una gran bella verità”,
sebbene Tu abbia
“visto un uomo che moriva per amore,
ne ho visto un altro che più lacrime non ha,
nessun coltello mai, ti può ferir di più di un grande Amore che ti stringe il cuor”.
Perché, hai ragione Lucio, spesso chi si innamora dona “un po’ d’amore a chi non sa che farne”.
Ma non ci possiamo fare nulla: “si sopravvive a tutto per innamorarsi”, anche alle buche più dure.
E non smetterò mai di ringraziarTi per questo momento di pathos rimasto nella storia, un incredibile medley di poesia insieme alla grandissima Mina:
Oltre all’amore, le Tue canzoni sono un grido di speranza: ogni uomo è soggetto alle umane fragilità, ma nonostante queste non c’è nulla che scalfisca il proprio essere interiore.
I dubbi esistenziali fanno parte dell’umana natura, ma Tu ci ricordi quello che siamo, forse come lo hai sempre ricordato a Te stesso.
“Ma come un’aquila può diventare aquilone? Che sia legata oppure no, non sarà mai di cartone.”
Grazie perché mi hai insegnato ad “Avere nelle scarpe la voglia di andare, avere negli occhi la voglia di guardare” pur restando “prigionieri di un mondo che ci lascia soltanto sognare”.
Un sogno che può diventare concreto e reale grazie all’incontro con chi ci ama e ci rispetta, e infatti “Nel mio cuor, nell’anima, c’è un prato verde che mai nessuno ha mai calpestato, nessuno: se tu vorrai conoscerlo cammina piano, perché nel mio silenzio anche un sorriso può fare rumore”.
Grazie Lucio, perché non lo sai, ma mi accompagni in questo incredibile viaggio che è la mia vita, perché quando mi sembra di cadere nell’abitudine e nella monotonia canticchio insieme a te:
“Sì viaggiare evitando le buche più dure, senza per questo cadere nelle tue paure, gentilmente senza fumo con amore dolcemente viaggiare, rallentare per poi accelerare con un ritmo fluente di vita nel cuore gentilmente senza strappi al motore”.
Grazie perché mi hai insegnato che non posso essere sempre Una donna per amico, per avermi insegnato finalmente a bere con Acqua azzurra acqua chiara, grazie perché sogno ancora un uomo che arrivi con la sua motocicletta 10hp tutta cromata, perché Mi ritorni in mente ogni volta che prendo il treno alle 7:40, perché mi fai compagnia nelle mie Innocenti evasioni, e mi fai sentire Comunque bella.
Grazie per la Canzone del sole, colonna sonora della mia infanzia, anche se non avevo le bionde trecce come lei.
Grazie perché Ancora tu riesci a riempire anche Una giornata uggiosa, e per regalarmi sempre tantissime Emozioni con i tuoi Pensieri e parole.
Anche se non ci sei più, la Tua musica vivrà in eterno e accompagnerà generazioni e generazioni, dall’asilo alle serate in discoteca, quando si piange per amore e nei lunghi viaggi in macchina.
Anche se non lo sai, vivi ancora e sei qui con noi.
Sì, Ancora Tu.
Per sempre Tu, Il nostro caro angelo.
Martina, dal Kindergarden alla soglia dei 24+1