A DAY IN THE LIFE

Accelero ancora, sto andando a duecento e la cosa mi eccita, ho bisogno di sentirmi veloce, il collo mi tira, sono teso, piacevole sensazione tutto sommato, ho bisogno di tornare a scorrere.

Il cielo è plumbeo, sul lungomare di Rimini troppi alberghi e vie che richiamano Fellini, cazzo lui non è dozzinale e cazzo, ho scordato la sciarpa a casa, ho le tonsille gonfie da non so più quanto e le cuffie non coprono il collo, coprono le orecchie. Il giornalaio infila velocemente dentro al “Sole” un libretto e mi fa -Uno e cinquanta- gli do due euro, restiamo tutti e due in attesa, rompo il silenzio, -scusami, quanto hai detto?- ho capito male: due euro e cinquanta, sorriso imbarazzato, amo i momenti d’imbarazzo. Il libretto in allegato contiene due racconti brevi di Arthur Schnitzler, lo conosco dico, ha scritto “Doppio Sogno”ed Eyes Wide Shut è tratto da Doppio Sogno, piaceva tanto ad una mia ex, penso ai suoi occhi: ricordo il nome del colore, azzurro, ma non i suoi occhi.

All’American Graffiti mi siedo quasi infondo, schiacciato senza vie di fuga, poi mi accorgo che devo pisciare, Cristo devo far alzare tutta quella sfilza di persone, pagherei oro per avere un pappagallo sotto al tavolo. Torno dal bagno e mi raggomitolo nuovamente nel mio angolino e penso a quante persone siano un gran bel bluff, poi mi dico che a volte anch’io sono un bluff, distolgo lo sguardo dall’insegna dell’hotel di fronte e noto che la ragazza di fianco a me poggia sul tavolo uno strano contenitore, leggo sull’etichetta hp basico, lei è incinta, all’ottavo mese mi dice, le chiedo se è maschio o femmina e se ci fossimo presentati alla cena della sera precedente ma no, non è capitato. Parliamo di tante cose. Lei mi dice che con quel contenitore ha risolto i suoi problemi di acidità, mi fa provare un pò di quella sostanza, sa di ferro, in realtà sembra fare peggio. Ordino filetto, una pannocchia e verdure grigliate, lei prende un primo, parliamo ancora. Le dico che ultimamente soffro di autismo musicale, ascolto troppa musica a cui poi associo persone e pensieri, che mi fa star bene e che sicuramente mi ammazzerei senza musica ma in realtà non lo farei, sono troppo egoista, sono proprio un bluff a volte, penso. -Con la meditazione ho sconfitto il mal di vivere- prosegue lei guardandomi dritto negli occhi, ha uno sguardo che non giudica,uno sguardo educato, ho dimenticato già il suo nome, ho un problema con la memorizzazione dei nomi, fa niente, le rispondo che invece io voglio tenermi le nevrosi, le pulsioni insoddisfatte , i fallimenti eccetera, ci sguazzo in queste cose io, non voglio essere Siddharta, poi dico che noi siamo delle singolarità e che il vero miracolo è questo, che dal caso possa nascere qualcosa di unico, in realtà l’ha detto Alan Moore ma io mi ci ritrovo, lei si commuove, mi abbraccia, non me l’aspettavo, ricambio l’abbraccio in modo goffo, amo i momenti imbarazzanti. Sfoglio il libretto di Schnitzler, troppo chiacchiericcio lo leggerò dopo, butto un’occhiata alla prima pagina del Sole, le parole Parigi e Isis si attorcigliano come due serpenti che fanno l’amore, metto le cuffie e ascolto A Day in the Life, mi dico che i Beatles erano troppo avanti, poi ascolto Anidride Carbonica e La Canzone Del Parco.

Parlo con la ragazza della valigetta, le dico in tono scherzoso -Non la molli proprio mai eh? – mi risponde che no, è la sua coperta di Linus quella -Come per me le cuffie- faccio io, lei sorride e mi dice che a gennaio andrà in Australia dal suo ragazzo, vuol cambiare vita e farcela con le proprie forze, è già in aspettativa da qualche mese ma vuol godersi il presente e non pensare a quello che sarà. -Io vivo proiettato nel futuro e con uno sguardo al passato, il peggio che ci si possa augurare- lei ride e mi dice di provare a godermi l’attimo, le rispondo che ci sto provando dalla nascita. Torno al bagno, poggio le cuffie sul tavolo, non vedo l’ora di rimettermi in macchina e fondermi con l’asfalto, mio padre erano mesi che non lo vedevo e sono felice di sfrecciare con lui, parliamo di tante cose, alla radio passano “Un angioletto come te” e come per riflesso il discorso cade su quanto fosse rivoluzionario l’album “Rimmel” e della psicologa con cui stava nel ’75, io non lo interrompo, so già tutto a memoria ma non lo interrompo, lo ascolto come se fosse la prima volta, mi fa star bene.

Il collo mi tira sempre di più, ho scordato le cuffie al ristorante, chiamo, nessuna cuffia trovata mi dispiace, qualcuno ha la mia coperta di Linus e io sento freddo, in quel momento leggo i messaggi che mi manda Giovanni, è felice, ha nuove emozioni dentro, mi influenza positivamente, d’altronde sono solo un paio di cuffie o forse no, sono indeciso, alla fine mi dico che le ricomprerò.

Mi stendo sul letto, rileggo alcune pagine sottolineate di “Tenera è la notte”, rifletto sul fatto che i libri non andrebbero regalati con tanta superficialità, a volte sono superficiale, vorrei poter scrivere come Fitzgerald, vorrei poter amare come Fitzgerald ma Zelda non c’è più, sto bevendo poco per cui vado in cucina, torno in camera e ascolto senza la mia coperta A Day in the Life, penso che domani è un altro giorno e contemporaneamente scavo nelle settimane passate in cerca di belle sensazioni, così non va però, devo focalizzarmi sul presente, alzo il volume al massimo, bussano alla porta ma non sento niente, sono egoista.

I Beatles erano troppo avanti.

Jacopo Sisca
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Classe 1990. Di Urbino. Fancazzista di professione, studente di Giurisprudenza nel tempo libero.
La sua citazione preferita è: “Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. C’è sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia e una bella mattina… Così remiamo, barche controcorrente, risospinti senza sosta nel passato.”(Francis Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby)