Il 26 febbraio è la Giornata Mondiale del pistacchio, il frutto secco – soprattutto negli ultimi anni –
più amato al mondo. Il c.d. “Oro Verde” ha origini molto antiche. Portato in Italia dai Romani e diffuso
successivamente nel sud della nostra Penisola dagli Arabi, il pistacchio ha goduto di fama e successo
fin dai tempi più antichi, tanto da essere citato in testimonianze dell’epoca dei faraoni e nominato
anche nel Vecchio Testamento. La pianta del pistacchio ha origine nel Mediterraneo orientale ed era
già nota e coltivata dagli antichi ebrei (7000 a. C), che ritenevano preziosi i suoi frutti. Il frutto del
pistacchio ha avuto particolare sviluppo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento nelle province di
Caltanissetta, Agrigento e Catania. Nel territorio di Bronte il pistacchio ha conosciuto la massima
espansione, tanto da diventare il fulcro di tutto il sistema agricolo ed economico dell’area.
Oggi il pistacchio è una tendenza, una sorta di ossessione, lo si trova ovunque: pistacchi salati da
mangiare, sgusciati, in crema, dentro ai croissant, sopra ai panettoni, nel gelato, nei biscotti, persino
nella pasta e nel salame. Il pistacchio è arrivato ovunque, invadendo l’industria dolciaria, le produzioni
artigianali e le tavole di noi italiani come mai prima. Consumati nell’arco dell’intera giornata con un
picco nel break pomeridiano, oltre un italiano su due dichiara di mangiarli come spuntino post pranzo.
E non succede sono nel nostro Paese, negli ultimi anni, la produzione di pistacchi ha registrato un
vero e proprio boom in Paesi relativamente nuovi nel settore come la Spagna. Il mercato globale del
pistacchio (secondo gli analisti di mercato di Data Bridge Market Research) è stato valutato a 3.907,07
milioni di dollari nel 2021 e si prevede che raggiungerà i 5.282,52 milioni di dollari entro il 2029.
Ma perché sembrano tutti impazziti per il pistacchio? I pistacchi contengono solo 3-4 calorie per
frutto e offrono oltre trenta diverse vitamine, minerali e fitonutrienti. Hanno proprietà diuretiche,
anticolesterolo, antinfettive. Recenti studi hanno dimostrato che mangiare una moderata quantità di
pistacchi al giorno (30 – 50 grammi) può addirittura aiutare a mantenere il cuore sano. Il pistacchio è
il vero e proprio ingrediente trendy degli ultimi anni: l’Osservatorio Immagino di GS1 Italy ha
individuato 512 referenze, tra prodotto al naturale e alimenti che lo usano come ingrediente, per un
giro d’affari di oltre 175 milioni di euro, in crescita annua di +11,1%.
L’ossessione gastronomica per questo ingrediente non può cancellare la riflessione sull’impatto
ambientale, economico ed etico che un tale consumo sta avendo. Come questo piccolo frutto verde
sta modellando le nostre scelte alimentari? Chi si preoccupa della provenienza, della produzione e
delle implicazioni ambientali ed economiche? Il pistacchio proviene principalmente da Paesi come
l’Iran, la Turchia, gli Stati Uniti e l’Italia (e in particolare la Sicilia). Ma non tutti questi paesi aderiscono
allo stesso livello di normative sulla sicurezza e la qualità alimentare. Così, mentre ci deliziamo con
un gelato al pistacchio, potremmo essere inconsapevolmente complici di una catena di produzione
eticamente discutibile. Inoltre, la coltivazione del pistacchio necessita di una impronta idrica molto
più pesante di quanto si possa immaginare. Si pensi che per produrre un solo chilo di pistacchio, sono
necessari circa 5mila litri d’acqua, molto di più rispetto ad altre colture come le arachidi, per cui sono
sufficienti 1500 litri. Altro problema è che con la crescente domanda, il prezzo del pistacchio è
schizzato alle stelle. Ma, ovviamente, i coltivatori nei paesi in via di sviluppo spesso non approfittano
di tale incremento: è proprio qui che questo “oro verde” si trasforma in un caso di sfruttamento
economico mascherato da tendenza culinaria.
Nella giornata mondiale del pistacchio (è stato addirittura possibile istituire una giornata mondiale!)
dovremmo iniziare a riflettere sulla consapevolezza e sulla sostenibilità delle nostre scelte e smettere
di seguire acriticamente le tendenze alimentari. La scelta del pistacchio dovrebbe tener conto della
provenienza, della stagionalità, dell’impatto ambientale e delle implicazioni economiche. D’ora in
avanti, il cibo deve essere sempre più visto come una responsabilità: la prossima volta che andate al
supermercato o al ristorante, chiedete da dove proviene il pistacchio. Informatevi su come viene
prodotto, su come viene conservato. Chiedete se i coltivatori vengono pagati equamente. E magari
pensate se non sarebbe il caso di dare una chance a un altro frutto secco, magari meno alla moda,
ma altrettanto gustoso.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni