Amo lo sport, il gioco di squadra, il sacrificio che ne consegue, lo spirito di gruppo che esso racchiude. Tutti elementi che costituiscono un’unione ed un legame forte, autentico, caloroso e stracolmo di ardore atletico. In particolare, sono un appassionato di calcio sin dall’età di 6 anni, e so bene cosa significa tifare la propria squadra del cuore. Ma so anche che tifare non è per tutti e, soprattutto, non è una cosa semplice.
Il calcio non è soltanto un gioco come in molti sostengono. Esso racchiude in se diverse emozioni e tanti sentimenti; si gioisce, ci si arrabbia, si lotta tutti insieme e si, perchè no, si piange tutti insieme. La squadra del cuore, molte volte, viene tramandata di generazione in generazione, sinonimo di un amore che tocca dapprima il nonno, successivamente il figlio, poi il nipote, il tutto per un tifo formato famiglia.
E’ un trasporto che nasce all’improvviso e porta con se l’emozione di un gol, la tristezza di una finale persa, l’amore verso una maglia, reso ancora più forte nei momenti di difficoltà. Non esistono vie di mezzo; non ci sono mezzi tifosi e, se ci sono, definiamoli occasionali. È una questione di dentro o fuori; o lo ami o lo ignori. O ti piace – e lo segui sin da subito – o non ti piace e non hai interesse nel guardarlo e approfondirlo.
Purtroppo, se da un lato questo sport unisce, dall’altro è oggetto a strumentalizzazioni. Molti si servono del calcio per sfogare la loro leggerezza, la loro rabbia interiore per fattori che nulla c’entrano con il calcio. Ogni occasione è buona per distruggere, fare baccano, ricaricarsi di onnipotenza e sfidare le regole. A quel punto intuisci che il calcio – così come lo sport in generale – non è altro che un pretesto. E chi se ne serve non ha a cuore la propria squadra, bensì il benessere dei propri istinti primordiali.
Recentemente, in occasione della promozione in Serie A della Salernitana dopo ben 22 anni, abbiamo assistito all’ennesimo violento raduno distruttivo. La scusa era la solita: festeggiare la promozione. Le intenzioni pure: strumentalizzare lo sport per seminare il panico e liberare la propria follia. Bar distrutti, sedie volanti, tavolini ribaltati, alcool a dismisura, autocontrollo trasformatosi in un lontano ricordo. Questi non sono tifosi; sono teppisti mascherati da amanti del calcio.
Si può festeggiare senza demolire; si può esultare senza sfregiare. L’eccesso non è sintomo di felicità ed euforia, ma di un disagio che porta i giovani ad aggrapparsi a qualsiasi ragione per evadere. E questi gruppi li ritrovi anche sui social network; sono gli stessi che insultano e minacciano, perdendo di vista la realtà per una sconfitta od un torto arbitrale. E, come se non bastasse, non posso non mettermi nei panni di chi ha un’attività e la deve vedere maltrattata per colpa dei vizi e degli sfizi del primo che capita. Per uno sporco divertimento da parte di un branco in cerca di un senso, di un passatempo.
Specialmente in un periodo storico dove si apre e si chiude senza preavviso, aprire la saracinesca della propria attività dev’essere una gioia e non una preoccupazione. Molte volte le stesse società calcistiche sono state etichettate in malo modo per colpa di alcuni dei loro sostenitori. Della serie “le colpe dei tifosi ricadono sulle squadre!”.
Dobbiamo ritornare a considerare il calcio uno sport di contatto sì, ma dentro il campo, non fuori. Dobbiamo ritornare a vivere il calcio come uno svago positivo; uno sport che unisce, non che separa ed incattivisce. Fino ad allora, anche semplicemente andare allo stadio diventerà un rischio per sè e per gli altri. La mia paura maggiore è quando riapriranno gli impianti sportivi; temo potrebbe subentrare il rischio che una piccola parte di ultrà sfrutti la prima occasione per generare il caos e non sarà di certo un bel vedere.
Il calcio riunisce famiglie, amici, coppie, bambini che sognano un giorno di calcare quei campi maestosi e pieni di storia. Tale magia rende questo sport unico nel suo genere e così deve rimanere, senza sfociare nella violenza per un festeggiamento, per un KO, per la mancata vittoria di uno scudetto.
Finchè si considererà soltanto un motto la frase “l’importante non è vincere ma partecipare!” non si riuscirà mai a fare propri il rispetto e la sportività, due valori principi del giuoco del calcio!