Vogliamo qui riportare, allo stato dei fatti, la conclusione di una tra le innumerevoli vicende di cronaca che ha coinvolto l’Italia tutta e che nel percorso avuto inizio nel maggio 2015 ha trovato soluzione dopo circa sei anni. Vogliamo farlo facendo memoria della giornata che ha reso giustizia alla famiglia Vannini con la premura di evitare la formulazione di qualsiasi forma di giudizio.
L’attenzione prospettata è generata dall’esigenza volta a restituire pace al tragico episodio che ha visto protagonista la morte del giovane Marco di soli vent’anni, morte risultata dai contorni sbiaditi sin dalle prime ricostruzioni dei fatti, nonché dal desiderio di arginare ogni forma di incitamento all’odio nei confronti dei soggetti riconosciuti responsabili, da parte della giustizia italiana, di quella stessa morte.
Roma, 3. 05. 2021 – La Suprema Corte di Cassazione conferma la sentenza dell’appello bis. L’intera famiglia Ciontoli viene condannata alla pena detentiva: 14 anni per la persona di Antonio Ciontoli, 9 anni e 4 mesi per gli altri membri dello stesso nucleo familiare.
A determinarne la decretazione è, in maniera maggiormente incisiva, il lasso temporale intercorso tra la realizzazione dell’evento lesivo e la richiesta effettiva dello stesso. Minuti significativi quelli, centodieci, che avrebbero potuto scongiurare l’arresto di quella giovane vita, vittima di questo tragico epilogo. La previsione e l’accettazione delle conseguenze di una comune condotta, che è risultata essere omissiva, in un suo primo tempo, tardiva e reticente in un secondo, confermano una imputabilità maggiormente gravosa nei confronti del capofamiglia ed ex militare di Marina.
Vogliamo muovere alcune riflessioni dagli aspetti più propriamente definibili come tecnici e risolutivi della controversia giudiziaria, oggetto di studio per gli interpreti del diritto, ponendo l’attenzione sull’incisività e la portata del sostegno che ha letteralmente abbracciato e fatto sua la lotta della famiglia Vannini portata avanti nel corso di questi anni.
Inammissibili talune asserzioni, precedentemente avanzate dagli avvocati della difesa, volti ad evidenziare un’ incidenza considerevole del processo mediatico su quello giudiziario. Risulta certamente noto l’atteggiamento inviperito da parte dell’indignazione popolare rispetto a casi che vengono letteralmente coinvolti da un clamore massmediale, eppure il tumulto generato dalle forme di quella che potrebbe essere definita come “giustiziabilità sociale” non risulta essere alimentato se non dal desiderio autentico di una “ricerca del vero” che, senza, talvolta stenta ad emergere con risolutezza.
La valenza comunicativa dei mezzi di diffusione ha reso possibile un’attenzione costante e partecipata ai risvolti giudiziari, di questa come di altre tragiche storie, prima inimmaginabile. La giustizia, quella vera, non esercita secondo ottiche satisfattive o compensative delle possibili istanze avanzate da un clamore di piazza, per quanto possa volerlo, non è capace di incidere sul corso degli eventi che hanno essi stessi decretato la tragicità di un finale che porta con sé le fattezze di un velo di Maya che cela ragioni generative dell’immane dolore che ha finito per coinvolgere entrambe le famiglie senza sconti di pena. Non ci sono vincitori né vinti ma le parole pronunziate in occasione della dichiarazione spontanea, resa nel settembre del 2020 da Antonio Ciontoli, portano con sé il peso del vero
–Quando si spegneranno i riflettori giuridici e non, rimarrà solo il dolore. Il dolore lacerante a cui ho condannato per i giorni a venire Martina e Valerio. Resterà solo il rimorso e la consapevolezza di quanto bello Marco è stato e di quanto ancora avrebbe potuto essere ma per quel mio imperdonabile errore non sarà.–
Per tutte le famiglie che, di fronte al dolore di una perdita, si ritrovano a lottare per la verità, speriamo in una giustizia più lesta .
Fonte: ANSA/RICCARDO ANTIMIANI