Negli ultimi giorni sui social media si sono moltiplicati i commenti su un possibile slittamento del festival di Sanremo per attendere la fine dell’emergenza COVID-19, anche al fine di consentire la consueta partecipazione del pubblico in sala. La questione si inserisce nella cornice di un dibattito notevolmente più ampio, relativo al sofferto “ritorno alla normalità” dalla pandemia, che riguarda moltissimi eventi pubblici e occasioni di incontro in programma per i prossimi mesi.
Le singole questioni possono essere messe a sistema accendendo un riflettore sul vero problema: l’impiego della tecnologia in questo momento di pandemia globale.
Il dibattito vede infatti schermagliare su un fronte i sostenitori delle nuove tecnologie, delle videoconferenze, degli eventi “da remoto”, sull’altro i nostalgici degli incontri in presenza, della partecipazione fisica.
La questione, che in alcune articolazioni di dettaglio può assumere indubbiamente morfologie interessanti e prestarsi a coinvolgenti confronti prospettici, deve però essere veicolata attraverso un’importante consapevolezza preliminare: l’intero pianeta sta vivendo una fase della storia dell’umanità del tutto unica nel suo genere.
Le sedute di laurea, i corsi universitari, le lezioni a scuola, i concerti, i convegni, i matrimoni, i compleanni. La vita dell’individuo sociale è caratterizzata, da sempre, da una concatenazione di eventi condivisi. Siamo tutti d’accordo che la partecipazione alla socialità “in presenza” rappresenta un tassello fondamentale della natura umana.
Dobbiamo però fare i conti con la grave emergenza sanitaria che, volenti o nolenti, traccia dei limiti alla nostra quotidianità. Il diffondersi dell’epidemia da COVID-19 ha imposto, necessariamente, una riduzione delle occasioni di socialità e, più in generale, di ogni evento che comporti assembramento. Ci sono settori in cui la presenza fisica delle persone sui luoghi di lavoro o sul posto è assolutamente irrinunciabile perché il sistema funzioni: le filiere produttive, l’impresa, la manifattura, i servizi alla persona. Per questi settori la normativa emergenziale è intervenuta fin da principio, garantendo in alcuni casi la costante prosecuzioni delle attività o comunque un’immediata ripresa dopo un periodo di stop corrispondente al momento più acuto della pandemia.
Ci sono però un considerevole numero di eventi e occasioni, sia private che professionali, in cui l’apporto delle nuove tecnologie può contribuire a garantire il funzionamento del sistema limitando le occasioni di contagio.
Se è vero che le pandemie influenzali hanno interessato ciclicamente il genere umano attraverso i secoli fino ad oggi, è infatti la prima volta che un tale fenomeno interessa l’umanità dall’inizio dell’era dell’informazione. In questa prima occasione, si pone quindi l’ “alternativa digitale” alla prosecuzione delle attività in presenza che, per irrimediabili esigenze, sono in parte rinviate e in parte sospese.
Ora che la pausa estiva giunge al termine e che si approssima nuovamente la stagione fredda, si profila lo spettro di una seconda ondata di contagi. Proprio in questa fase, quindi, potrebbe essere utile il ricorso a formule tecnologiche che, se adottate con il giusto bilanciamento, potrebbero rivelarsi utilissime in un momento così delicato.
Per i convegni, ad esempio, la modalità in videoconferenza si sta sviluppando in modo significativo e sta restituendo risultati incoraggianti. Anche in ambito accademico, le università sembrano proiettate verso un periodo di digitalizzazione dei corsi, almeno in questa prima fase. Si tratta di soluzioni che, bisogna ripeterlo, non sono permanenti ma assecondano le necessità contingenti di un momento di grave crisi.
Su altri aspetti si potrebbe ancora lavorare. Ad esempio, nel settore della giustizia hanno fatto fatica a decollare le udienze da remoto, in cui una parte degli operatori della giustizia riponeva una certa fiducia. Si tratta di uno strumento particolarissimo, che indubbiamente richiede significativa cautela, ma che poteva trovare applicazione con riguardo a un certo tipo di contenzioso. Parimenti, sarebbe stato legittimo aspettarsi – in alcune articolazioni della pubblica amministrazione – che molti servizi “da sportello” fossero sostanzialmente sostituiti da forme di contact center multimediali, che in realtà hanno avuto poco seguito.
Pur restando consapevoli che i mezzi tecnologici non potranno (e non dovrebbero) mai sostituire l’interazione umana, è abbastanza evidente che, se razionalizzati con il giusto equilibrio, possono rappresentare un indubbio strumento di semplificazione per la vita quotidiana e di ausilio nella gestione dell’attuale emergenza epidemiologica.
Tornando quindi al quesito iniziale, su un possibile slittamento di un evento per garantire la partecipazione del pubblico in sala, credo possa ben dirsi che il vero valore aggiunto di un evento è il suo pubblico in generale e in qualunque modo sia collegato o interagisca, a prescindere dalla presenza fisica.
Anzi, in questa fase, garantire la possibilità a tutti di partecipare attraverso modalità telematiche e, quindi, predisporre canali di accesso tecnologici alle realtà che siamo abituati a concepire “in presenza”, dimostra non solo una grande consapevolezza delle coordinate storiche in cui viviamo, ma anche una profonda sensibilità.
È infatti indubbio che l’epidemia ha cambiato le vite di tutti, nel breve periodo e – forse – anche nel medio, imponendo di ripensare in parte la socialità e la vita quotidiana, in nome di (contingenti) esigenze di salute pubblica. Pur condividendo le preoccupazioni per l’abuso della tecnologia e anche una certa nostalgica apprensione verso il “nuovo”, è forse questa un’occasione di sana educazione digitale, che può dimostrarci il valore dell’alternativa “telematica” quando sia adeguatamente bilanciata.
Articolo già pubblicato su Il Quotidiano del Sud – l’Altravoce dei Ventenni il 14 settembre 2020