Milano Fashion Week, riflettori puntati, lustrini incollati, calze strappate. Volontariamente, sia chiaro, perché agli stilisti non si impiglia accidentalmente il ciondolo del braccialetto nei collant.
Milano Fashion Week, capi di abbigliamento che dettano le nuove leggi della moda e fanno strada ai nuovi trend, ai nuovi look, ai nuovi outfit da postare, instagrammare e tweettare tra una foto del proprio cane ed un bollettino di Mentana sullo stato di avanzamento del coronavirus.
Milano Fashion Week è lì per dirvi di non prendervi troppo in giro: il bello piace. Il lusso piace. Le modelle piacciono un po’ meno, perlomeno alla gente comune.
Intendiamoci, sono donne meravigliose che si fanno largo tra la folla e lavorano duramente per la propria carriera, al punto da ridursi a scheletri ricoperti di seta e cachemire. Così, mentre sfilano, si può tranquillamente immaginare il tizio seduto in ultima fila che esce per fumare una sigaretta sbattendo la porta e creando un leggero soffio di vento che le solleverà tutte in aria formando sul soffitto la scritta “Dukan.”
Qualcuno potrebbe chiamarlo body shaming. Additare una persona perché troppo magra o troppo grassa è ancora oggi una gigantesca piaga sociale alla piena luce del sole. Del resto, voler ferire e sminuire in un modo o in un altro è un concetto eterno che difficilmente passa di moda.
Così è partito il counter trend del body positivity, l’apprezzare ogni corpo a prescindere dalla sua forma e valorizzarlo senza giudicarlo in alcun modo, usando questo come trampolino di lancio per imparare a volersi bene e a smetterla di torturarsi. Fosse facile.
Certo, le case di moda devono ancora capire che una XS potrebbe essere troppo bassa per poter indossare un jeans lungo il doppio della propria gamba, tanto quanto una XL potrebbe essere così alta da avere puntualmente la caviglia totalmente scoperta. E dalle mie parti, in questo caso, la gente potrebbe fermarti per strada e domandarti se ti si sia allagata la casa.
Rilevare invece che una persona abbia un problema clinico è una moda che non riesce a prendere piede. Qualcuno ne parla, di tanto in tanto, ma lunedì ce ne saremo già dimenticati tutti. No, non si parla solo di modelle sottopeso, si parla anche di persone comuni che si nascondono dietro la fama di icone come Ashley Graham per giustificare le 8 fette di torta mangiate in un solo pasto o il binge eating davanti alla TV dopo cena mentre piangono per le famiglie riunite dalla De Filippi.
Forti dei propri idoli oversize, continuano a lanciare ai propri corpi messaggi positivi: chiedono loro di amarle e si dannano domandandosi perché loro in cambio le odino così tanto da continuare ad ingrassare senza riuscire ad accettarlo e ad accettarsi. E vanno avanti così, pretendendo una relazione fissa da corpi che continuano a friendzonarle, fino a quando stremati non chiedono loro il conto di tutti i pasti consumati.
Poi diventano isteriche all’idea che il proprio organismo imponga loro di somigliare di più alle modelle clinicamente anoressiche che vedono sfilare per i grandi brand. Ancora una volta si casca nel tranello del diavolo. Persone clinicamente anoressiche osservate da persone clinicamente obese, che per anni hanno giustificato il proprio problema con il cibo ignorando volutamente la quantità di ore di palestra, fitness e stile di vita sano a cui persone come la Graham invece si dedicano quotidianamente, dimostrando con i fatti che bisogna prendersi cura di sé per amarsi ed apprezzarsi realmente. E mettere in discussione le proprie abitudini alimentari fa ancora più paura dell’imparare a ripetersi all’infinito che sei bella così come sei.
Alla fine forse era più semplice continuare come si era iniziato, no? Con la sopita consapevolezza di essere la causa della propria auto-distruzione ed aggrappate all’incapacità di controllarsi. Conviene far finta che sia normale che una ragazzina di 16 anni mangi senza sosta e si dica ridendo che è solo una buona forchetta; conviene far finta che sia logico che una persona si riduca al fantasma di se stessa per fare il proprio lavoro e si dica alzando gli occhi al cielo che è ovvio, è una modella. Conviene dire che tanto si sa che è così, conviene attivare processi di normalizzazione che rendono un determinato fattore una norma sociale passivamente accettata e subita, perché non si vuole fare troppo chiasso e non ci si vuole assumere la responsabilità di dire apertamente le cose come stanno. Si prende la polvere e si nasconde sotto al tappeto, si taccia di insensibilità chi si azzarda a dire che forse dovresti mangiare o che forse dovresti mangiare di meno. Ma è anche un po’ colpa di chi osserva dall’esterno, che raramente o quasi mai suggerisce che forse dovresti vedere uno psicologo.
Così si continua a sfilare, chi davanti alle pasticcerie e chi davanti ai fotografi, consapevoli nel profondo di avere un problema, ma troppo spaventati per ammetterlo e, si sa, il primo passo per risolvere un problema è ammettere di averne uno. Ma chi ha voglia di dire apertamente di sentire che qualcosa proprio non va dentro di sé? Chi ha voglia di confessare di non essere in grado di ricomporre i pezzi di questo puzzle da solo? Di rischiare di perdere il proprio lavoro? Di mettersi così in discussione?
Alla fine, se chiudi gli occhi e ti tappi le orecchie forte forte e non lasci che ti vedano piangere ed ignori i crampi allo stomaco, andrà tutto bene.
Anzi, vedrai, la prossima volta andrà meglio; perché lo sai già che arriverà il giorno in cui ti spezzerai del tutto, ma quel giorno non è oggi.
Milano Fashion Week. Spegni l’interruttore nel tuo cervello ed accendi quello dei riflettori. Inchinati mentre l’omertà sulle conseguenze dei problemi di salute mentale si fa regina e siede comodamente su cataste di colletti e risvoltini.
Sei caos. Ma loro fanno finta di non saperlo.
E qualcuno continua a dire che va bene così.