D’inverno il freddo riscalda.
È vero fa freddo, ma non si sente freddo.
E no, non c’entrano caminetti, coperte o scaldini.
Il calore di cui sto parlando ha diverse sfumature.
Si consuma intorno a un tavolino e occupa dieci minuti del tuo tempo, ma dura molto di più.
In Italia saprebbe di Caffè, lungo, corto, in vetro oppure macchiato, tiepido, con poca schiuma (tiepido eh, non freddo! Semicit.).
In Inghilterra saprebbe di Tè, di cinque del pomeriggio, di menta o di Hearl Grey’s.
In Svezia, invece, sa di Fika.
La tavola unisce coloro che separa, e stringersi intorno a un tavolino con un amico, un collega, un amante o chi volete voi, è un placido momento ristoratore del corpo e dello spirito, necessario pit-stop dalla routine più frenetica.
Rinfranca e restituisce calore – in tutti i sensi – anche nelle giornate più fredde.
Oggi vi raccontiamo, da testimoni oculari, come tale calorosa funzione conviviale si svolge e sviluppa in Svezia.
Dicevamo, la Fika.
Essa è ormai così radicata nel tessuto sociale svedese da venir considerata una vera e propria istituzione sociale, consistente nel prendersi una pausa (solitamente due volte al giorno, alle 10.00 e alle 15.00) in cui si beve un caffè, solitamente accompagnato da un dolce, insieme ai colleghi di lavoro oppure con gli amici o la famiglia.
È molto importante nello stile di vita svedese, tanto da essere accostato, per ritualità e sacralità, al Five O’Clock Tea Inglese.
Il suo curioso nome trova origine in un editto del 1764 emanato dall’allora Re di Svezia Gustavo III. La Svezia, infatti, era – ed è tutt’ora – tra i maggiori paesi consumatori di caffè al mondo, ma Re Gustavo considerava il consumo di caffè una minaccia per la salute pubblica, ed era tanto convinto dei suoi effetti negativi sulla salute umana da ordinare l’esecuzione di un esperimento medico (rimasto famoso come “l’esperimento del caffè”): egli raschiò le prigioni della contea e trovò due gemelli, condannati a morte per i crimini commessi, e ne commutò la pena nell’imprigionamento a vita, a condizione che uno dei due bevesse tre tazze di caffè al giorno.
Morale della favola? Il gemello “decaffeinato” morì per primo, all’età di 83 anni!
Deluso dall’esito infausto di quello che è scherzosamente definito come il primo studio clinico svedese, il Sovrano impose, inizialmente, elevate tasse sul caffè (pena salate multe e confisca di tazze e piattini!), fino a vietarne del tutto il consumo con l’editto succitato.
Ovviamente, gli svedesi mai smisero di consumare caffè, adottando un’astuta parola in codice per accordarsi sul consumo della gustosa bevanda nella più totale clandestinità: Fika.
Caffè in svedese si dice Kaffi e per riferirsi a quest’ultimo senza che le autorità s’insospettissero gli svedesi invertivano le sillabe della parola in una metatesi (figura grammaticale che indica il cambiamento di posto di sillabe all’interno di una parola): da Kaffi si arrivava a Fika.
Col passare del tempo, da espediente sovversivo la parola Fika si radicò nella cultura tradizionale svedese, indicando oggi un rituale di socializzazione tanto consolidato che molte aziende svedesi – fra cui IKEA – obbligano i propri dipendenti ad effettuare la Fika, al fine di aumentare il benessere lavorativo e, conseguentemente, la produttività aziendale.
Ma la Fika attira anche tanti turisti.
Durante il periodo natalizio, passeggiando per le strade di Gamla Stan (la Stoccolma antica) sbirciando mercatini e negozietti di ogni tipo, si può sentire per i vicoli il profumo di cannella tipico del Kanelbulle, il dolcetto che tradizionalmente accompagna il caffè svedese e che consiste in un impasto lievitato, che viene coperto con un sottile strato di una mistura di burro, zucchero e cannella, quindi viene arrotolato, tagliato a fette – solitamente guarnite con granella di zucchero – e infine cotto.
Ci siamo fatti guidare dall’olfatto come dei segugi, siamo giunti fino alla piazza centrale (Stortorget), dove sorgono le due famose casette colorate di Stoccolma.
Qui abbiamo finalmente “fatto fika” (si dice così).
Il sapore può essere opinabile, ma il fascino e la suggestione di ordinare una fetta della storia culturale di un paese non ha prezzo.