La “fuga dei cervelli” è un argomento sempre più all’ordine del giorno, ma andare all’estero non deve essere visto solo come un “dramma”, soprattutto se chi parte ha poi intenzione di tornare e portare in Italia le competenze e le conoscenze che ha acquisito o migliorato con la propria esperienza. E’ il caso di Eugenio Alimena, 30 anni, di Belvedere Marittimo, una piccola cittadina sul mare in provincia di Cosenza; dal 2015, laureatosi in lingua e letteratura russa, si trova a San Pietroburgo per insegnare italiano. occupandosi anche dell’offerta didattica della scuola in cui insegna, della programmazione dei corsi, della formazione e gestione degli insegnanti; coordina il progetto PLIDA, la certificazione di lingua italiana per stranieri della Società Dante Alighieri, ed è referente per il programma PRIA del Ministero dell’Istruzione e della Ricerca russo per la diffusione della lingua italiana. Il suo sogno è svolgere lo stesso lavoro in Italia, tornando appena possibile.
Lo abbiamo sentito per scoprire qualcosa in più sulla sua esperienza.
- Perchè hai lasciato l’Italia e perchè ti trovi proprio a San Pietroburgo?
Quando mi è stata segnalata l’offerta di lavoro ho scelto di provare inviando la mia candidatura perché avevo voglia di ritornare ad insegnare e in più ero sicuro che vivere un periodo a San Pietroburgo mi avrebbe aiutato a perfezionare gli studi. Sono partito quasi alla fine del mio percorso universitario mentre ero in fase di scrittura della mia tesi magistrale: non è un caso che mi trovi qui. Dopo la laurea volevo tentare il concorso del dottorato nella mia università, La Sapienza, motivato anche dalla mia famiglia e dai miei insegnanti ma ho deciso di non prendere quella strada perché troppo precaria…ancora oggi ci penso spesso.
- Hai già fatto altre esperienze di lungo periodo all’estero prima di andare in Russia?
La mia prima esperienza significativa “fuori porta” è stata circa nove anni fa negli Stati Uniti per un progetto estivo di perfezionamento della lingua inglese presso la George Washington University di Washington D.C.. A distanza di pochi mesi vinsi la mia prima borsa di studio della durata di sei mesi presso l’Università Statale di Mosca MSU che mi ha avvicinato alla fine degli studi di laurea triennale. Poi appena iniziato il corso di studi magistrale sono ritornato nella capitale con uno stage ministeriale di affiancamento ai corsi di lingua italiana presso una scuola bilingue italiano-russo, l’Università Pedagogica MPGU.
Questo andare avanti e indietro soprattutto tra “i due blocchi” in periodi così ravvicinati, inserito in una cornice di altri viaggi e di un precedente trasferimento da Cosenza a Roma per gli studi universitari (anche questo cruciale nella mia formazione), mi ha fatto toccare con mano e capire quanto sia importante il contatto con persone e culture diverse dalla mia. Quando ci spostiamo siamo portatori della nostra cultura e rappresentiamo un valore aggiunto nel mondo e nella società nazionale e internazionale. Io per esempio ovunque mi trovi nel mondo mi sento italiano perché mi presento come tale, ma ovunque mi trovi in Italia mi sento calabrese e allo stesso modo ovunque mi trovi in Calabria mi sento cosentino e ancor di più belvederese. Tutto questo ha giocato un ruolo fondamentale nello spingermi ad essere chi sono ora e a farmi promotore della mia cultura all’estero.
- Come descriveresti la Russia e San Pietroburgo?
Inizierei da San Pietroburgo: è come un’elegante ballerina che si prepara per il suo spettacolo. È una capitale europea a tutti gli effetti con un’offerta culturale e ricreativa incredibilmente ampia, ma con costi della vita moderati. È molto affascinante sia d’inverno, con i fiumi ghiacciati su cui poter passeggiare, che d’estate durante le notti bianche, quando il sole tramonta per pochissime ore e la città freme di vita.
Descrivere la Russia è un po’ più difficile, basta osservare la sua posizione sulla cartina geografica per rendersi conto di cosa sia: mi piace descriverla come un orso superbo che posa una zampa ad ovest e l’altra ad est. Se si è stati a San Pietroburgo o a Mosca non si può dire di aver visitato la Russia, ma una sua minima e falsata parte. Io ho viaggiato molto in questi anni, sono stato al nord in Siberia, a sud nel Caucaso fino all’estremo est in Kamchatka entrando in contatto con persone di religioni, culture e lingue diverse, ma tutti “russi in Russia”. La questione sull’identità russa e su cosa sia la Russia, se Europa o Asia, è più che mai aperta.
- Quando si pensa a alla Russia viene in mente un Paese forte, ma anche le descrizioni dei grandi autori o i racconti di chi ha vissuto gli anni del regime che, nel bene e nel male, potrebbero avere ancora strascichi nella società. Tu quando sei arrivato a San Pietroburgo avevi aspettative o preconcetti?
La prima volta che sono arrivato a San Pietroburgo era il primo maggio del 2012, avevo lasciato Mosca per qualche giorno dove iniziava la primavera, e nella capitale del nord mi ha accolto una forte nevicata. Il primo pensiero è stato “ma allora in Russia nevica sempre e ovunque?”. Dai racconti dei miei amici moscoviti sapevo che, come Mosca, anche San Pietroburgo era una città in continua evoluzione e proiettata verso la modernità. Anche dalle letture mi aspettavo una città a metà strada tra l’ “imperiale” e l’ “informale”, e così è stato perché, per parafrasare forse lo scrittore pietroburghese per eccellenza “arrivata la sera è il diavolo che accende i lumi dei salotti della città”.
Quando qualcuno mi viene a trovare gli dico sempre “benvenuto nella nuova divisione sovietica”; la Russia non è ancora totalmente uscita dall’Unione Sovietica e per molti aspetti è molto lontana dall’uscirne. Per me un posto rappresentativo della Russia dove si respira aria post-sovietica è i “rynok”, i mercati cittadini dei prodotti alimentari, tutti costruiti e allestiti allo stesso modo in ogni città del territorio russo e dove comprano ricchi borghesi e poveri proletari, in pieno stile della politica propagandistica del comunismo sovietico.
Invece, ci sono preconcetti sugli italiani?
In Russia gli italiani godono di una grande benevolenza e addirittura ammirazione. I contatti con l’Italia hanno origini lontane, ma possiamo dire che è grazie ai settanta anni di Unione Sovietica che è stata promossa la nostra cultura: penso per esempio a Sanremo che ha reso famosa la musica italiana, o ai “maccaroni”, come chiamano qui la pasta, che erano e sono ancora oggi sinonimo di buona cucina, o ai film di Fellini che rappresentavano la bella vita… A San Pietroburgo l’amore per l’Italia raggiunge il massimo dell’espressione, basti pensare che architetti come Trezzini, Quarenghi, Rastrelli o Rossi hanno dato un’estetica italiana alla città. Ovviamente l’italianità porta con sé anche esperienze negative come la mafia (moltissime sono le attività commerciali, soprattutto di ristorazione, che portano il nome di vecchi esponenti o di film storici ad essa connessa) o il dolce far niente che fa considerare l’italiano medio come uno scansafatiche. Tutto questo fa parte del cattivo gioco degli stereotipi di un popolo all’estero al quale bisogna far buon viso con una certa dose di autocritica e ironia.
- Cosa ti manca di più dell’Italia?
Gli affetti prima di tutto e poi il sole che qui manca per quasi sei mesi all’anno. Anche la spensieratezza di certe abitudini come il caffè e cornetto al bar la mattina per esempio…
- E invece, cosa trovi in Russia di migliore rispetto all’Italia?
È difficile vedere i veri lati positivi, o negativi, in un paese in cui sei comunque straniero. La mia condizione professionale mi rende senza dubbio un privilegiato e questo mi impedisce di analizzare con onestà i lati migliori della Russia rispetto all’Italia. In generale la Russia e l’Italia hanno lati positivi e negativi e in entrambi i casi molti di questi aspetti coincidono.
- Come sono i giovani russi rispetto ai coetanei italiani?
Sicuramente i giovani russi crescono più in fretta rispetto agli italiani: la società ha ritmi più veloci che li portano a diventare autonomi ben prima rispetto ai nostri standard: a 21 anni sono già al termine degli studi e hanno un lavoro. Mi pare che siano più sicuri di ciò che vogliono dalla vita e non hanno paura di provare a raggiungerlo anche se con grandi sacrifici. Dei russi mi piace la loro capacità di non fare troppi progetti a lungo termine e di rialzarsi quando qualcosa va male: “ne vazna”, “non importa”, e con ironia si rimettono in piedi.
- Sai già per quanto tempo resterai in Russia o è stato un viaggio “a tempo indeterminato”?
Non esistono viaggi a tempo indeterminato nella vita, questo per me è un biglietto di lunga percorrenza che farà ritorno alla stazione di partenza.
- Vorresti tornare in Italia?
In questi anni ho ricevuto offerte da altri paesi che però non ho considerato fino in fondo perché voglio terminare alcuni progetti che ho avviato in questa città e farne partire degli altri interessanti che mi sono stati proposti. Certamente tornerò in Italia perché è lì che voglio vivere.
- Cosa pensi riguardo alla “fuga dei cervelli” rapportata al nostro Paese? Come pensi si possa risolvere?
L’Italia vive un grosso problema non solo a livello politico ed economico ma soprattutto culturale. Mi piacerebbe parlare di “libera circolazione dei cervelli” che nella mia idea presuppone una libera scelta di andare via o addirittura di tornare piuttosto che di una scelta forzata di emigrare o restare fuori. Fin quando non si metterà in atto una seria politica per il lavoro e per l’accoglienza cambierà ben poco e l’Italia continuerà solo a perderci.La Russia è un paese che vuole crescere ed essere competitivo. Anche in quest’ottica punta molto sui giovani dandogli la possibilità di mettersi in gioco dimostrando le proprie competenze e quindi di accumulare esperienze che possono portarli molto lontano. In Italia spesso i giovani si sentono dire “non hai esperienza”, ma come puoi avere esperienza se non ti viene data l’opportunità di maturarla e soprattutto di maturarla con una retribuzione dignitosa? In Italia puoi essere studente a vita, ma l’ennesima teoria è davvero più importante della pratica iniziale? Nel 2015 sono partito con l’idea di fare un’esperienza di un anno mentre terminavo gli studi. Poi il lavoro è andato bene e ho deciso di rinnovare il contratto in un momento in cui in Italia non avevo alternative, ma solo tanti punti interrogativi. Qui mi è stata data la possibilità di continuare a formarmi sul campo e fare carriera: sono orgoglioso della mia posizione e del mio lavoro. Dicevo prima che la Russia punta molto sui giovani dandogli la possibilità di fare esperienza. A me capita spesso di visionare i curricula di aspiranti insegnanti tutti italiani che non trovano spazio in Italia. Alcuni candidati che poi abbiamo assunto erano principianti senza alcuna esperienza ma dotati di buona volontà e ottima istruzione e che oggi sono a mio avviso brillanti insegnanti di cui personalmente vado molto fiero. Per me la motivazione è molto importante e non ho mai scartato una candidatura perché “senza esperienza”: se non fai esperienza non puoi maturare esperienza, è un cane che si morde la coda.
- Quale consiglio daresti a chi si trova in procinto di lasciare l’Italia alla volta della Russia o, più in generale, di un paese estero?
Se si ha la possibilità di scegliere il paese o la città in cui trasferirsi un consiglio è sicuramente quello di andare in un posto quanto più possibile affine al proprio carattere. Non importa la distanza una volta che sei lì, l’importante è ciò che hai attorno perché ogni giorno si presentano momenti difficili e se il contesto che ti circonda non ti è di supporto, allora diventa tutto più complicato. Sulla Russia? Come per qualsiasi altro paese, soprattutto se molto lontano dal nostro per cultura e tradizioni, bisogna essere un po’ predisposto per viverci. Oltre a questo, imparare la lingua del posto anche solo un’infarinatura, perché oltre che un modo per sopravvivere è un segno di rispetto per chi ti ospita.
- Per finire, puoi dirci una frase (magari un saluto) in russo?
“Choroshego nastrojenija” che significa letteralmente “ti auguro buon umore”. È un’espressione che mi piace molto sentire, soprattutto qui a San Pietroburgo dove l’inverno è lungo e buio.
Articolo già pubblicato in forma ridotta sul Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia di lunedì 16/12/2019