“I hope I get the chance to travel the world
And I don’t have any plans
I wish that I could stay forever this young
Not afraid to close my eyes“.
Avicii mi sussurra queste parole nelle orecchie, e mi abbandono ai miei pensieri…
Faccio (ab)uso di Instagram perché amo fotografare i posti che scopro, mi piace dare valore ad un dettaglio che magari per altri è insignificante, e amo riflettere su ciò che vedo. Instagram, però, oggi, è anche veicolo di informazione al pari di Facebook e al pari di altre realtà virtuali. Proprio su Instagram, in uno dei mille account di viaggi che seguo, ho scoperto che esiste un Guinness world record per globotrotter, il cui vincitore è chi ha visitato il più alto numero di paesi nel minor tempo possibile.
Ebbene, tale primato è stato raggiunto da una ragazza americana, Lexie Alford, che alla tenera età di 21 anni ha visitato per l’esattezza 196 paesi de mondo.
Allora, incuriositami alla vicenda, attesa la mia rinomata voglia di viaggiare, inizio a fare due calcoli.
Lexie mi ha surclassato di brutto.
Devo ammettere, nonostante la chiara e deludente sconfitta, che nel mio piccolo anche io gioco con i grandi numeri.
Ad oggi, dal place 25 voiture 12 in partenza dalla Gare de Marrakech verso l’aeroporto di Rabat, posso affermare con orgoglio che il Marocco è il quarantottesimo stato del mondo in cui ho messo non solo piede, ma anche testa e cuore.
A chi mi chiede: dove trovi il tempo? Dove trovi i soldi? Dove trovi la compagnia?
Rispondo che basta un minimo di organizzazione, di adattamento, di curiosità, e sì, anche un po’ di rischio.
Mi piace sperimentare, conoscere, non amo le vacanze di lusso (no aspetta, sembrerei ipocrita: le amo anche, ma preferisco le emozioni che mi regala un’esperienza vera e locale). Mi basta un venerdì-sabato e domenica, un volo rynair A/R e un’amica di turno – perché una che mi sopporti per ogni partenza non l’hanno ancora inventata, mentre il folle amore (perché solo di follia può trattarsi) che mi accompagni in queste pazzie ancora non si è palesato: è impegnativo starmi dietro, ma di certo “ogni giorno è un’avventura” (ps. sono aperte le selezioni per il prossimo viaggio, se sei interessato inviami CV e lettera motivazionale… se hai il coraggio!).
Qualche volta, quindi, i miei, poverini, si trovano in mezzo ai miei progetti vacanzieri, proprio come è accaduto per il Marocco.
In realtà la passione per il viaggio non è di derivazione genetica, i miei genitori da quando sono nata mi hanno portato solo a Vienna, Barcellona, Cracovia, Mosca e in Trentino Alto Adige a sciare, una volta in Puglia e una volta alle isole Eolie.
Scarsi!
Io invece, organiser e ministra con portafogli degli affari esteri di Casa Vetere, ho fatto scoprire loro il Sud America, nello specifico il Brasile e l’Argentina, e adesso la mia amata Africa.
L’Africa strega, ma in maniera diversa da paese a paese.
L’Africa, poi, o piace oppure no, non possono esistere vie di mezzo.
Io credo di essere di parte, avendo scoperto una passione per la cultura aldilà del mediterraneo (uso questa espressione per raggruppare tutte quelle etnie che ho conosciuto e che mi hanno fatto innamorare), ma non vedo l’ora di conoscerla tutta.
Amo guardare chi la vive negli occhi e amo quel senso di appartenenza che quegli occhi sprigionano, quelle urla che sembrano dire “questa è casa mia, benvenuto”.
Amo i rumori dell’Africa, quelli che si sentono per le strade affollate delle Medine o delle vie stracolme di bancarelle.
Amo la musica africana, il ritmo che hanno nel sangue: dalle danze delle tribu keniote alla danza del ventre, dai tamburelli ai flauti degli incantatori di serpenti.
Amo i colori della Africa, e, questa volta, mi sono lasciata rapire dal blu cobalto, che circonda e tinteggia le mura di queste meravigliose città.
Il Marocco è rosso mattone o blu cobalto: sarà una coincidenza, ma sono gli stessi colori della mia città.
Il mio cuore ha iniziato a battere all’impazzata.
Gli odori di spezie che il mio olfatto percepisce per le vie dei Suok mi inebriano e mi fluttuano in testa: cumino, zafferano, paprika, curcuma, un’esplosione di polveri colorate dai toni pungenti.
Una sensazione di libertà mi pervade, mi fermo ad osservare piazza Jemaa el-Fna e mi si riempiono i polmoni con qualcosa di innaturale ma fenomenale allo stesso tempo: prendo, in una delle piazze più luride mai viste in vita mia, una boccata di serenità.
Perché è la vita vera quella in cui mi sto imbattendo, il quotidiano di un popolo dal cuore pulsante.
Amo la confusione, la gioia, i sorrisi di chi cerca il tuo sguardo per trovarvi approvazione, comprensione, un gesto che li faccia sentire parte del tuo mondo. O almeno a me piace immaginare che sia così.
Il turista in questi paesi è sacro – sicuramente perché primaria fonte di ricchezza – ma egli simboleggia anche un ponte, un collegamento con tutto quello che c’è aldilà delle mura cadenti di casa loro.
E allora è un continuo “Italian? Espanol? Di che parte di Italia? Io avere sorella che sta a Treviso” o Verona, addirittura a Prato vive la sorella di Jamal, trasferitasi in Italia ovviamente per cercare fortuna.
Al contrario, il signore della bottega che cuce a mano i kaftani di seta, uomo onesto, gran lavoratore e mercante della Médina, ha gli occhi tristi ma speranzosi: racconta che la sua famiglia si è trasferita da anni in Italia “ma io voglio vivere in Marocco. Marocco è mio paese, io devo lavorare qui e aiutare mio paese”. Dice ancora “miei figli mai andati Italia: lo so, se loro andare, mai più tornare qui. Qui è difficile, però qui è casa”.
La voglia di riscatto che traspare da un popolo ancora troppo indietro, ma che ha voglia di avanzare, è di grande ispirazione per me.
Tutto questo annienta la mia voglia di tradire casa mia per partire alla volta di un futuro diverso, con lingue diverse e tradizioni differenti. Invece no, prometto che continuerò a girovagare irrefrenabilmente come una trottola fino a quando potrò farlo, ma non tradirò mai casa mia.
Farò sempre ritorno.
Quarantotto è numero importante, ma ancora troppo misero rispetto al numero di paesi e di culture che so di avere intorno. È una chimera, ma mi piacerebbe un giorno riuscire a conoscere ogni angolo del pianeta, anche se sono consapevole di aver ormai perso ogni Guinness world record.
La vera vittoria, in questo caso, non è un primato, cara Lexie, ma è il bagaglio che lasci dove vai e quello che riporti a casa al tuo ritorno.
Ora vi devo lasciare: Fatima, la ragazza seduta al mo fianco, mi suggerisce di scendere a questa fermata, perché è più facile trovare un driver onesto nella stazione centrale di Rabat.
La ringrazio, prendo i borsoni e mi avvio verso l’aeroporto insieme alla mia famiglia.
E anche se sto già pensando alla prossima meta, adesso sto tornando a casa, più ricca di come sono partita.
Infatti oggi ho la valigia più pesante: una valigia piena di emozioni e nuovi insegnamenti, quelli che solo un viaggio ti può lasciare.