Di Marilù Greco
I sopravvissuti della redazione di Charlie Hebdo non rinunciano al diritto di “essere blasfemi”. Mercoledì una nuova sfida. Il settimanale satirico è tornato in edicola con nuove vignette addirittura in tre milioni di copie ( rispetto alle 60.000 abituali ) tradotto in sedici lingue e distribuito in tutto il mondo. Le vignette ancora una volta sono su Maometto. ” Sketch, disegni e proposte…volevamo fare vignette che ci facessero ridere e non solo disegnare sulla spinta emotiva e simbolica. Abbiamo lavorato e poi alla fine la soluzione è arrivata“. Così Luz, vignettista di Charlie Hebdo, ha raccontato la genesi della vignetta su Maometto, la prima dopo l’attentato jihadista. Almeno due le osservazioni degne di evidenza : la voglia di ricominciare senza alcun indugio, la scelta del personaggio. “Maometto è il mio personaggio” ha ribadito il vignettista; ” Ma noi siamo disegnatori, amiamo disegnare: tutti hanno disegnato, come ogni bambino, ma ad un certo punto hanno perso la capacità di guardare il mondo ad una certa distanza. Ho disegnato Maometto e poi ho scritto ‘ Io sono Charlie ‘. L’ho guardato e ho aggiunto: ‘Tutto è perdonato’. Poi ho pianto. Avevo trovato la soluzione…Ed era la nostra soluzione, non erano tutto quello che gli altri volevano che noi facessimo“.
In questo discorso la raffigurazione di quel principio di libertà di espressione che in questi giorni ha fatto il giro del mondo con le parole: ” Je suis Charlie”, misto a sentimenti di commozione e solidarietà. Eppure qualcosa che in tutta questa sconcertante storia non torna c’è, ed è evidente, forse ancor più della smisurata reazione dei jihadisti, in qualche modo addirittura prevedibile, viste le loro idee fondamentaliste e le scarse possibilità di dialogo (come profeticamente sottolineato da Oriana Fallaci all’indomani dell’attentato alle Torri gemelle). Forse ancora di più degli attentati che in questi giorni si sono susseguiti scatenando il panico ovunque, inglobati in un pericolo comune e latente, ma sempre presente e imprevedibile quale il terrorismo. Ed a mio avviso è stata la volontà di riaffermazione di un principio, quale la libertà di pensiero, che si dovrebbe dare per scontato in un Paese che ha la presunzione di ritenersi democratico. Evidentemente si è perso qualcosa, un principio, un valore. Ma, ahimè, forse si è perso molto prima di questo attentato. Sicuramente in maniera meno eclatante e drammatica, ma si è perso lo stesso. Ebbene sì, perchè Charlie non faceva solo satira contro Maometto con sketch del tipo: “Cento colpi di frusta per chi non muore dalle risate” riferendosi al giornale stesso, ma costituiva un’attenta critica alla società e politica interna francese oltre che ai simboli della cristianità. Satira che come ogni forma di critica ai poteri centrali e regnanti è stata uccisa, demolita, abbattuta, prostituita e purtroppo non solo in Francia. Forse questo caso ci deve far riflettere, traducendosi non in un vano odio verso i fondamentalisti islamici (strada ardua e scarsamente proficua ) ma in una critica utile a costruttiva a tutti quei poteri più o meno oscuri che attanagliano, prima fra tutte le nostre coscienze.
Il direttore del giornale Charlie Hebdo, Charb, in seguito all’incendio della sede del giornale nel 2011, e dopo continue minacce di morte, in un’intervista del 2012, a questo proposito aveva detto: ”
Non ho paura delle rappresaglie. Non ho figli, non ho una moglie, non ho un’auto, non ho debiti. Forse potrà sembrare un po’ pomposo, ma preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio.” E forse dovremmo ricominciare proprio da qui.
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