Nei mesi di settembre, ottobre e novembre, alcune delle piazze delle più importanti città italiane, ospiteranno un’iniziativa di Zanichelli, “l’area a lessico limitato”, l’AreaZ, in cui sarà allestita la riproduzione gigante di un vocabolario Zingarelli. Dopo Milano, prima tappa, ci saranno Torino, Bologna, Firenze, Bari e infine Palermo. Si tratta di un’installazione interattiva, tramite la quale sarà possibile consultare il vocabolario, scegliere uno tra i lemmi considerati a rischio, condividerlo sui propri profili social oppure spedire una cartolina.
La nuova uscita dello storico vocabolario è stata affiancata da questa manifestazione volta alla sensibilizzazione delle persone sull’uso dell’italiano, la nostra lingua. In più, di fianco ai lemmi considerati a “rischio estinzione” – ben 3.126 secondo Zanichelli – sarà posto il simbolo grafico di un fiorellino.
Insomma, in tempi in cui si grida al cambiamento climatico, alla paura per il nostro pianeta, aggiungiamo anche un timore, forse ancora in sordina, per la nostra lingua madre.
Siamo circondati da forestierismi di ogni sorta, anglicismi soprattutto, che molto spesso sembrano privare l’italiano della propria completezza e dignità, ma è davvero così? L’italiano è veramente una lingua a rischio? Io non posso definirmi affatto una linguista, ma, per fortuna, posso avvalermi del contributo di alcune tra le voci più rilevanti nel campo.
Il primo tra tutti, è Luca Serianni (emerito professore di storia della lingua italiana presso “La Sapienza”, Accademico dei Lincei, della Crusca, vicepresidente della società Dante Alighieri e molto altro), di cui ho avuto l’onore di essere studentessa. Serianni è stato il professore che mi ha insegnato a mettere l’accento su “sé stesso” e, soprattutto, colui che mi ha permesso di conoscere perfettamente la storia della mia lingua. Serianni si è espresso molte volte sull’argomento, addirittura, in una intervista su LaRepubblica, commentando l’inserimento del neologismo “Ferragnez” nel libro sulle parole del 2018 di Treccani. Sulla paura che l’italiano sia una lingua in pericolo sostiene che “non ci sia un vero pericolo, ma la percezione di un pericolo. Per questo è il momento adatto per creare un museo della lingua italiana, perché servirebbe ad incanalare sul terreno linguistico spinte nazionalistiche per altri aspetti abbastanza discutibili“. Per Serianni, la lingua italiana deve essere elevata ad “aggregatore”, resa patrimonio comune e motivo di coesione. Non dimentichiamoci, del resto, che l’italiano resta la quarta lingua più studiata del mondo, dunque, per quanto i timori possano essere più che fondati, c’è ancora tempo per pensare alla catastrofe.
Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca e professore di Storia della lingua e Linguistica italiana presso l’Università del Piemonte Orientale, si è focalizzato sullo studio dei forestierismi nell’italiano e sullo scarso “senso d’identità collettiva e una buona conoscenza della propria storia e della propria lingua”. Le ragioni individuate da Marazzini sono principalmente storiche, attribuibili al fatto che, l’Italia unita sia uno stato relativamente giovane. Per lo studioso, un altro motivo di riflessione è stato l’influenza esercitata dai social e mass-media nella comunicazione verbale e scritta. Far rientrare il proprio messaggio in un numero di caratteri predefinito, ha portato ad un impoverimento lessicale e prima di tutto, di pensiero. Molti studenti arrivano all’università con lacune grammaticali notevoli, sia nello scritto che nel parlato, e questo può essere stato causato dalle carriere scolastiche precedenti.
L’impoverimento dell’italiano è colpa delle lingue straniere, dei social, della storia o della scuola?
Probabilmente, un insieme di tutti questi elementi può essere additato come ragione. Difficile, se non impossibile rintracciarne solo una.
Chi sta provando, specie negli ultimi tempi, a rilanciare l’italiano, rendendolo fenomeno è stata la Treccani. Quest’ultima sfrutta efficacemente e con grande astuzia, le ultime tendenze musicali, rendendole mezzi potentissimi di diffusione linguistica. La Treccani analizza un lemma tratto dalle strofe Battisti, Sferaebbasta, Liberato e le issa a bandiera comune. Ma non si ferma solo a questo, segue con attenzione neologismi e prestiti, lasciando una finestra sempre aperta sul passato.
Ricordiamoci anche che, il 21 febbraio 2017, la Corte Costituzionale ha riconosciuto alla lingua italiana valore e primato: essa è vettore della cultura e della tradizione immanenti nella comunità nazionale, tutelate anche dall’art. 9 della Costituzione […] La centralità costituzionalmente necessaria della lingua italiana si coglie particolarmente nella scuola e nelle università”.
Ciò che sento di dire è che, per me, la nostra lingua è fonte inesauribile di tesori e meraviglie, storia e letteratura, filosofia e retorica. L’italiano deve continuare ad essere un elemento di coesione e soprattutto, di inclusione. Dovremmo pensare alla lingua come ad uno strumento potente di inserimento per tutti coloro che arrivano nella nostra Italia. Andare oltre le barriere e far sì che una lingua così complessa, diventi la voce degli ultimi e dei primi. Non chiudersi in nazionalismi eccessivi, immotivati, accettare qualche prestito linguistico dagli altri senza farci sopraffare.
Salviamo le parole e salviamo l’italiano perché sono le nostre prime forme di relazione. Come possiamo interagire gli uni con gli altri se non troviamo le parole? Comunicare gli uni con gli altri è una prerogativa imprescindibile per la vita sociale. Ma come si può farlo se ci mancano pensiero e ragionamento? È necessario riscoprire l’italiano nella sua sconfinata bellezza e grandezza, partire dalle origini.
Per questo, la campagna di Zanichelli assume un valore fondamentale, specie nella società della velocizzazione dei tempi, in cui si sente, in maniera sempre più incombente, la necessità di riscoprire il valore della propria lingua come forma prima di riconoscimento.
Facciamo in modo che i più giovani riscoprano le potenzialità dell’italiano, della scrittura e lettura, che non si lascino travolgere da nuovi linguaggi che li privano di senso critico. Che gli adulti lascino perdere catene di Sant’Antonio sgrammaticate e guardino avanti, ma con gli strumenti di sempre. L’italiano è lingua dei poeti, dell’opera, della Commedia e del teatro. E’ la lingua della rivoluzione, dell’inno di Mameli.. della pizza! E’ la lingua che può parlare a tutti, indistintamente. Non “l’italiano degli italiani”, ma prima l’italiano di tutti.
Nata a Cosenza nel 1994, vive da sette anni a Roma. Laureata in Filologia Moderna, attualmente tenta di rendere produttiva la sua laurea seguendo un Master e facendo tutti i lavori possibili.
Ama la musica, viaggiare, la vita la coinvolge totalmente e vorrebbe scoprire il mondo.
La sua passione più longeva è sicuramente la lettura, il primo libro che ha letto è “Giovanna nel Medioevo” e ha pianto senza ritegno dopo aver terminato “La piccola Principessa”.
Incapace e negata per ogni tipo di sport (ma è fiera di aver praticato basket per una settimana), ama correre con le cuffie nelle orecchie e camminare per tutta Roma.
Il suo gruppo preferito sono gli Oasis, e mentre spera che tornino insieme, immagina sempre come sarebbe la sua vita se la smettesse di sognare ad occhi aperti.