Nuova Prescrizione, vecchie bufale

Diciamola tutta e diciamolo subito, l’argomento è scottante e di non semplicissima lettura per una ragione precisa: le false informazioni date in pasto ai cittadini.
Iniziamo col dire che la Prescrizione è un istituto giuridico che prevede “la perdita di un diritto che scatta a seguito del suo mancato esercizio entro un termine prefissato dalla legge“.
In campo penale, che è quello che più rileva perché è quello “immediatamente percepito” da noi cittadini, si riflette nel fatto che trascorso un determinato lasso di tempo (fissato per legge), un’azione delittuosa non possa più essere perseguita dallo Stato.

E’ bene, sin da subito, precisare che non tutti i reati sono soggetti alla prescrizione ed i termini della stessa sono differenti (e molto) a seconda del reato posto in essere.

Per esser chiari, oggi: la violenza sessuale si prescrive in 30 anni (termine di dodici anni raddoppiato ed aumentato di un quarto in caso di interruzione ex art. 161 comma 2 c.p.) e con i medesimi criteri di calcolo l’omicidio stradale in 30 anni e fino a 45 nelle varie ipotesi aggravate, in 24 anni lo scambio elettorale politico-mafioso, in 40 anni l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, in 60 anni il sequestro di persona a scopo di estorsione, in 30 anni l’associazione mafiosa, giusto per fare qualche esempio.

Ma quali sono le ragioni che hanno spinto il legislatore ad inserire tale “regola”?

I motivi sono da ricercare nel fatto che lo Stato, dopo un certo lasso di tempo, “perde interesse” a perseguire un determinato reato (ricordiamoci che per ciascun reato esiste un termine prescrizionale diverso) o perché, ad esempio, un soggetto che compie un atto di rilevanza penale, dopo decine di anni (questo è il rischio) potrebbe essere una persona completamente diversa da quello che aveva commesso il fatto. 

A questo si aggiunga che protrarre all’infinito un processo penale provocherebbe una grave lesione del principio, costituzionalmente garantito, secondo cui il fine ultimo della pena in Italia è la rieducazione del condannato e, quindi, il suo reinserimento nella società.

So bene che nel momento in cui leggerete quest’ultimo periodo penserete immediatamente a crimini efferati. 

Per questa ragione, quindi, invito il lettore ad inserire nella sua immaginazione anche soggetti sottoposti ingiustamente a processo penale (i casi NON sono pochi) od a chi ha commesso un reato “minore”.

Perché, però, tanto scalpore intorno alla riforma della prescrizione?

Ebbene, il nuovo art. 159 comma 2 del C.p. che entrerà in vigore nel gennaio del prossimo anno cosi reciterà: «Il  corso  della  prescrizione  rimane  altresì   sospeso  dalla pronunzia della sentenza di primo grado o  del  decreto  di  condanna fino alla data  di  esecutività  della  sentenza  che  definisce  il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna ».

In sostanza, una volta che un processo vedrà la conclusione del suo primo grado rimarrà bloccato, sospeso ed il soggetto indagato od imputato potrebbe rimanere con la spada di Damocle sopra il capo “per sempre” o comunque finché un Magistrato,  quando ne avrà il tempo, riuscirà a procedere alla conclusione del procedimento.

Stessa sorte, si badi bene, attende la persona offesa dal reato che rimarrà in attesa di “ricevere giustizia” proprio come l’autore del fatto, “vita natural durante

Ebbene, la Prescrizione manifesta un fondamentale principio di civiltà giuridica che appare stentatamente discutibile: il diritto di uno Stato di sottoporre ad indagine, processare e condannare un cittadino non può non incontrare un limite temporale.

Senza più la prospettiva dell’attivazione della prescrizione il processo penale, specie quello di Appello e Cassazione, potrebbe quindi durare ben più di quanto duri già oggi.

Come brillantemente chiarito dal Presidente dell’Unione Camere Penali Italiane, Avv. Gian Domenico Caiazza infatti, “il trascorrere del tempo è una tossina che, aggravandosi, diventa non oltre tollerabile, ed infine letale. Letale per la genuinità e la tenuta della prova; letale per il diritto della persona a difendersi provando ed alla ragionevole durata del processo; letale per la finalità rieducativa della pena.

A tal riguardo, è il caso di sottolineare come il 60% delle prescrizioni oggi maturi nella fase delle Indagini Preliminari o comunque entro l’Udienza Preliminare (fase in cui l’Avvocato semplicemente non può porre in essere alcun atto per avvicinare il termine prescrizionale), l’altro 15% circa entro la Sentenza di primo grado, tale dato evidenzia come tale mastodontica trovata demagogica del Ministro Bonafede (mi sia concesso) inciderà, più o meno, su quel 25% rimanente.

Val la pena evidenziare che il prolungarsi sine die del processo interesserebbe non solo i soggetti condannati in primo grado, ma anche quanti siano stati assolti ai quali la riforma impedirebbe il consolidamento (anche a mezzo della prescrizione) del giudicato loro favorevole. Ci avevate pensato?

I mali del processo italiano, tra cui di imperio va annoverata l’eccessiva durata, sono molteplici e di difficile soluzione.

Certamente, però, violare la nostra Costituzione senza, di fatto risolvere un problema ma, al contrario, ingigantendolo, pare una mossa quantomeno discutibile.

Spero che quanto scritto vi faccia riflettere e vi dia spunto per informarvi meglio.

Non facciamoci trarre in inganno da quanti urlano che gli Avvocati (albo di cui sono orgoglioso componente) protestano perché “gli stiamo togliendo un mezzo per vincere i processi” o “per permettere ai potenti di farla franca”.

I penalisti italiani, con la toga quale mantello, si stanno battendo con tutte le loro forze per proteggere LA GIUSTIZIA sopra ogni cosa ed il DIRITTO dei cittadini di essere giudicati in un tempo congruo.

Tale battaglia è condivisa, bene sottolinearlo, da autorevoli studiosi di diritto e, “udite udite”, moltissimi avveduti Magistrati.

Un popolo è facile da governare solo quando non conosce, non rendiamogli il compito troppo facile.